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Brasile, finito il mito del Maracanà: perde 130mila posti e la torcida

Moderno e "verde": lo stadio-simbolo, che ospiterà la finale del Mondiale 2014, è stato ristrutturato. La furia di Pelè e Zico

Giulio Bucchi
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di Tommaso Lorenzini Due anni e mezzo di lavori, circa 480 milioni di euro e altrettante polemiche per cancellare (oltre al museo e a una scuola pubblica) quello che fu il Maracanã, “Lo Stadio” del Brasile, il Brasile in uno stadio, e presentare ufficialmente il nuovo bijou carioca. Dimenticatevi i 210mila spettatori della finale del Mondiale 1950 Brasile-Uruguay. Costruito ad hoc per quella Coppa del mondo, 20mila dei 30mila posti che costituiscono il primo anello erano occupati fino al 2050 dai “cadeiras perpetuas”, abbonamenti venduti nel 1948 per finanziare la costruzione, che garantivano il posto per 100 anni. Erano. Anche questi sono in discussione, perché da ieri sera i cancelli si apriranno per non più di 78mila persone, rigorosamente sedute, per assistere a partite che da messe tribali diventeranno asettici appuntamenti sportivi. Pelè ha gridato: «Ma come fai a uccidere chi ti ha fatto crescere, nascere, vivere?». Più spietato Zico: «Chi l'ha ideato non ha mai giocato a pallone». Tutto nuovo, dunque, anima corpo, come quell'arco di trionfo comparso gli anni scorsi a Wembley, al posto delle due torri. Resterà solo nella memoria quell'immenso ombelico del mondo pallonaro, una bocca spalancata in un silenzioso “oooh” di incitamento. Ora il cielo è coperto da un tetto ellittico di 50mila metri quadri di pannelli fotovoltaici; intorno 230 bagni che riciclano l'acqua piovana, 60 bar, 360 telecamere di sicurezza, poltroncine super comode. Lo richiedono i tempi, per carità, però che nostalgia per i telefoni per giornalisti un tempo piazzati dietro le porte. Ora “O estadio do reis” è veramente per pochi, «una vetrina a uso esclusivo delle élite: la ristrutturazione ha fatto aumentare il prezzo dei biglietti, quindi i poveri non potranno più andarci. E per un brasiliano, privarlo del calcio è come togliergli il pane», sostiene l'avvocato Andrè de Paula, rappresentante di una delle organizzazioni popolari contro la privatizzazione del Maracanã. Nel 1950 la partita del battesimo la giocò chi lo stadio l'aveva tirato su, ingegneri e operai; ieri, per il match inaugurale (quello ufficiale sarà il 2 giugno Brasile-Inghilterra) erano in campo due squadre composte da amici  ed ex colleghi di Ronaldo e Bebeto. Sai che pacchia. Mentre a operai e famiglie viene concesso l'onore di guardarli dalle tribune, che se l'erba la calpestano loro magari la seccano. Dunque il Maracanã, l'istituzione nazional-popolare, è ora un rito per privilegiati, dopo che per 63 anni le tribune hanno visto tutto, respirato odori e umori, fedi e credi mescolati in isterie pagane, un carnevale ininterrotto a cui tutti erano sempre invitati; come i 146.043 biglietti staccati per l'incasso più alto mai registrato dal Corinthians, nel '76, festeggiato con 120mila bottiglie di birra, 90mila di soda e 65 persone ustionate dai petardi. Ma anche Bibbie e whisky, droga e rosari, e tanto sesso: «Una volta feci lì una scappatella con la mia fidanzata, dopo un controllo antidoping», rivela Romario, «ma ci si faceva anche sesso di gruppo, è abbastanza normale negli sport collettivi». Cattedrale di trionfi e disgrazie, il Maracanã era museo del calcio bailado; la targa ad eterno ricordo del gol di Pelè contro la Fluminense nel '61, «una nave che faceva slalom fra le onde» scartando sette avversari e pure il portiere; i record come l'esordio a 11 anni e i 333 gol di Zico; i debutti come quello del dottor Socrates non ancora “tacco di Dio”; i grandi inganni, come il finto petardo in testa al portiere cileno Royas (ma era mercurocromo) e le grandi occasioni (la signorina Rosemary che lanciò il fumogeno finì su Playboy); rivalità, come Bebeto-Romario e Zico-Roberto Dinamite; i drammi come la recinzione crollata nel '92 per la finale Botafogo-Flamengo e i due tifosi morti; i funerali sportivi per la Seleçao schiantata dalla Celeste e  i funerali veri per gli infarti e i suicidi susseguenti. «Solo in tre sono riusciti a zittire quello stadio», si vantava Ghiggia, «Frank Sinatra, il Papa e io». Da oggi saranno in quattro: solo Blatter poteva immaginarsi una torcida da seduti.

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