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Stadio vietato per ultràDenunciamo la Federcalcio

Pago, tifo e non insulto: storia di un abbonato che non ha mai intonato un coro offensivo. Ho una tessera inutilizzabile: se mi penalizzate, almeno risarcitemi

Matteo Legnani
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Cara Figc, io ti denuncio. Voglio trascinarti in Tribunale perché mi stai portando via i  soldi e non hai alcun diritto di farlo.  Sono uno dei poveracci cui è stato proibito  di assistere a Milan-Udinese. Uno dei pochi abbonati sopravvissuti all'austerity rossonera, al drammatico passaggio di consegne Nesta-Zapata e soprattutto all'introduzione di una serie di controlli per entrare allo stadio che neanche all'aeroporto di Tel Aviv l'undici settembre. Chi occupa le massime cariche del sistema-calcio, d'altra parte,  da anni sembra impegnato a desertificare gli spalti, ma c'è anche chi non se ne è curato. Per abitudine, qualche pirla anche quest'anno ha versato quattrocento euro nelle casse della sua società. Eppure domenica prossima non si potrà vedere Balotelli dal vivo. Una  volta tanto, non perché Marione ha inseguito un arbitro urlando minacce, ma perché hanno squalificato noi. È bastato che alcuni ragazzini - di cui non conosceremo mai il nome - gridassero «terrone» al prossimo per chiuderci fuori. Queste persone portavano una sciarpa del Milan, quindi pagheranno tutti i milanisti. Un po' come se la polizia non riuscendo a trovare il colpevole di uno scippo in piazza reagisse  arrestando tutto il quartiere. In questo caso, poi, per un'offesa tutt'altro che devastante.  Chi porta un cognome napoletano - come il sottoscritto - può anche capire che certi insulti («Napoli colera», etc.) possano dare molto fastidio, ma la verità è che negli stadi nessuno si è mai offeso per così poco. Anche ascoltare i tifosi partenopei  entrare a San Siro al grido di «Milano in fiamme» non è stato edificante, ma inspiegabilmente in quel caso nessuno ha segnalato la cosa. A quanto pare,  quella non è sembrata «discriminazione territoriale». Milano può bruciare. E ai suoi tifosi, intanto, tocca pagare. Ovviamente senza una spiegazione.  La cosa più assurda di tutta questa faccenda, infatti, è che nessuno in Lega abbia trovato un secondo per difendere questa norma dalla sacrosanta pioggia di critiche o per convincerci delle loro ragioni. Evidentemente, queste persone considerano chi va allo stadio un terrorista o nella migliore delle ipotesi un decerebrato: non val la pena trattare né discutere. Nessuno riesce a trovare cinque minuti per spiegarci quale tortuoso ragionamento è stato seguito per varare questa norma. Una regola sbagliata: imbarazzante nella sua costruzione e delirante nell'applicazione. Una legge che non sta funzionando.  Come Libero ha scritto subito dopo la sua approvazione, era evidente che si sarebbe trasformata presto in un boomerang, un'arma messa in mano agli ultrà per ricattare Galliani, Agnelli e soci. Per convincersene basta leggere il «comunicato» pubblicato ieri dalla curva del Milan: «Ora quando si gioca lo decidiamo noi». Purtroppo hanno ragione: gli basterà cantare un coro per mandare in fumo gli sforzi chi investe nel calcio. Per di più tutte le curve d'Italia si sono incredibilmente unite per far fronte comune contro la Lega. È per ottenere questo che mi impediscono di andare a vedere la partita? di Lorenzo Mottola

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