Russia 2018, Fabrizio Biasin: la Jugoslavia unita? Meno forte di questa Croazia
Dai tempi della divisione della Jugoslavia ad oggi, in ogni genere di Bar Sport, bocciofila o circolo ricreativo, tutti noi abbiamo detto o sentito dire la seguente puttanata: «Tu pensa se la Jugoslavia fosse ancora unita... vincerebbe tutto a mani basse!». Lo abbiamo detto perché, in effetti, questi qui hanno talenti ovunque e chissà cosa verrebbe fuori se Milinkovic-Savic (Serbia) giocasse con Modric (Croazia) e se in attacco con Mandzukic ci fosse pure Dzeko (Bosnia) e se in difesa avessero Marusic (Montenegro) e in porta Oblak (Slovenia) eccetera eccetera. Questo genere di cazzeggio filosofico-sportivo si scontra, però, con la realtà. La Jugoslavia «unita» non ha vinto mai una mazza (due volte 2ª agli Europei e una volta 2ª alle Olimpiadi), forse perché «unita» lo è stata solo a livello geografico mentre in realtà nello spogliatoio finivano tutti quanti per sputazzarsi nella borraccia. Oggi c'è la Croazia, 4 milioni e poco più di abitanti (la Lombardia è oltre i 10) e una capacità di produrre «calcio e calciatori» devastante. La conquista della finale della competizione più importante e conosciuta al mondo è certamente merito delle madri croate, del dna pallonaro da loro trasmesso, del «metodo croato» applicato ai giovani talenti, ma non solo. Forse, la discriminante tra essere una Nazionale ricca di qualità e una finalmente (anzi, «potenzialmente») vincente, dipende dal fatto che per una volta gli «slavi» si sono ritrovati davvero uniti, capaci di combattere uno al fianco dell'altro, affiatati al punto di riuscire a ribaltare risultati e pronostici, o di mantenere «l'unità d'intenti» fino e oltre il minuto 120'. Poi, certo, se al posto di Modric, Perisic e Mandzukic ci fossero Qui Quo Qua - che pure sono notoriamente molto uniti - tutto questo discorso finirebbe per risultare un ammasso di pura retorica-sportiva (come tutti gli altri, del resto). di Fabrizio Biasin