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Carlo Ancelotti cerca la consacrazione contro il "suo" Milan

Matteo Legnani
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Anche se si è messo a dieta ed è diventato un figurino, a Carlo Ancelotti piacciono i sapori forti. E il caso, sotto forma di calendario calcistico, lo accontenta mettendogli di fronte già alla seconda giornata una delle "sue" squadre, il Milan (l' altra è la Roma, of course). Altro che calcio d' agosto, ragazzi, qui ci sono in ballo i sentimenti più profondi, ma soprattutto ci sono in ballo punti già pesanti e una spinta psicologica degna di una finale olimpica del bob a quattro: perché se il Napule di Carletto riuscisse a bissare il successo ottenuto sabato sera all' Olimpico contro la Lazio, trovarsi in testa alla classifica a punteggio pieno per effetto di 6 punti ottenuti non con comprimarie, ma due del (presunto) pacchetto di avversarie nella corsa alla Champions League - scudetto pare troppo -, ecco sarebbe già 'na cosa grande, per dirla proprio alla partenopea. I dubbi iniziali - Specie alla luce di un abbrivio al campionato che non è stato proprio all' insegna dell' ottimismo e della serenità: la campagna acquisti assolutamente "low profile" di De Laurentiis, le perplessità su alcune scelte di impostazione della squadra da parte del mister di Reggiolo coincise con gli scivoloni nei test match internazionali, su tutti la cinquina beccata dal Liverpool. Qualche avvoltoio iniziava già a volare alto sul nido del San Paolo: e invece, a Roma, è già venuto fuori dal cilindro un Napoli ancelottiano, bellino quasi bello quando si è trattato di ribaltare lo svantaggio, tosto quando la Lazio ha rimesso fuori la testa per unghiare il pareggio. Grinta degna dell' Ancelotti old style: quello che scorazzava nel centrocampo del Milan, in fianco a Donadoni e Rijkaard, dietro a Gullit e Van Basten, davanti a quel Paolo Maldini che incontrerà sabato sera nella pancia dello stadio. Eh, insomma, hai voglia a fare il superprofessionista, almeno fino al primo minuto. Per Re Carlo non può essere una partita come un' altra, su, tra l' altro è il primo incrocio in via ufficiale con il club con il quale, tra tacchetti e panchina, ha raccolto quattro titoli europei e tre mondiali. Dall' altra parte della barricata, colori e facce speciali. Il citato Maldini come un fratello minore, Rino Gattuso, suo oppositore in campo, come un figlio, Ringhio che teneva sveglio il suo allenatore telefonandogli di notte per sfogarsi, che dopo la nefasta notte di Istanbul del 3-1, 3-2, 3-3 contro il Liverpool se ne vuole andare via e rimane solo per Ancelotti. E tuttavia, in una famiglia, ci sono anche quelli con cui ti sei scontrato, e certi rospi che alla fine - forse - non digerisci. Sabato sera, Re Carlo incontrerà anche Leonardo, che ereditò lo scettro rossonero alla fine del suo ciclo e che poi fu suo "capo" al Paris Saint Germain. Biografia e veleni - Nella sua biografia, il mister azzurro scrisse che «Leonardo non si comportò da amico, da uomo» quando prima di una partita ininfluente di Champions contro il Porto, il Direttore brasiliano e il ricco patron gli comunicarono che in caso di mancata vittoria, poteva considerarsi esonerato. Vinse, ok. Ma tutto era compromesso, soprattutto il rapporto. «Se vuoi licenziare qualcuno, licenzialo. Non dirgli che se perderà, allora lo licenzierai. Fammi fuori, ma non darmi questi stupidi ultimatum». Parole che possono servire non solo da memorandum all' ex amico, ma soprattutto al vulcanico De Laurentiis. Ma il problema, ora, non si pone proprio. E figuriamoci se dovesse arrivare la vittoria-vendetta su Leo. Uno stadio che esplode, un presidente che sorride tronfio, una carezza e un abbraccio a Ringhio. E sopracciglio sinistro, come sempre, pronto a sollevarsi sardonico. Diavolo di un Carletto. di Andrea Saronni

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