L'incredibile sfida di Nicola Dutto: "Sono il Pistorius delle moto, corro la Dakar da paraplegico"
Partenza e arrivo a Lima, 334 veicoli al via tra auto, moto, quad e camion: è la Dakar 2019 che non abbandona il Sudamerica anche se rimane per undici giorni (da domani al 17 gennaio) solo in Perù. In mezzo ai concorrenti ce n' è uno che ha già vinto perché il suo è un record: Nicola Dutto da Beinette, una decina di km da Cuneo, è il primo ma anche unico pilota paraplegico nella storia al via della Dakar. Doveva già essere qui un anno fa, appuntamento solo rinviato ora che fisicamente è a posto e pronto a dar battaglia. Nicola, chissà che soddisfazione per la Federazione avere un simbolo come lei... «Sì, quella spagnola. Io sono affiliato lì da quando ho ripreso con le gare. E non è stata una scelta di comodo ma semplice necessità: la Federmoto non riconosce i piloti con disabilità, sono mutati i vertici (da quasi due anni il numero uno è Giovanni Copioli, ndr), per me non è cambiato nulla. Io credo che la mia storia possa essere una bella promozione, ma finora non si è mosso nulla». Spagnoli sono anche i suoi angeli custodi. Ce li presenta? «Sono Vìctor Ribera, Juliàn Villarubia, con il quale ormai faccio coppia fissa da sei anni ed è diventato la mia ombra, e Pablo Toral, tre ragazzi che in passato sono anche stati miei avversari. Il loro contributo è essenziale: prima di partire mi devono caricare e agganciare. Una volta in gara il primo apre la strada, gli altri due mi seguono anche perché io non posso stare molto tempo chinato sul "road book" e quindi qui realmente l' unione fa la forza. E poi se dovessi cadere, senza loro rischierei di rimanere fermo anche delle ore. E sappiamo già come sarà più difficile nei trasferimenti che in gara». Riavvolgiamo il nastro: Campionato Europeo Baja che lei aveva già vinto in passato. A Pordenone la caduta che le ha cambiato la vita. Quanto è stato difficile risalire in sella? «La moto è sempre stata la mia vita, lo è anche oggi che tutto è cambiato anche se in fondo nulla. Sono stato nove mesi fermo, ho fatto i conti con la mia nuova situazione, ho anche cercato di capire come ripartire. Due anni dopo ero di nuovo in moto, mi sono riscoperto vincente anche se in maniera diversa». Qual è la sua giornata tipo? «Mangio pane e moto sempre, tutto l' anno anche per lavoro. E mi alleno almeno cinque/sei giorni alla settimana per diverse ore, sia pilotando che a secco. Mi sono fatto una palestra in casa grazie a Technogym, vado in piscina, corro con la handbike. Insomma, non mi faccio mancare nulla». Handbike richiama Zanardi: è corretto paragonarla a lui? «Assolutamente, per me è un onore perché rappresenta un modello. Ma se proprio devo trovare qualcuno come me, penso a Pistorius». In che senso, scusi? «Alex è diventato fenomeno in una disciplina già esistente. Il sudafricano come me invece ha dovuto essere un innovatore e per questo lo sento più vicino». La Dakar è durissima, per un paraplegico è impossibile? «Ho fatto tutto per renderla meno complicata: la Ktm mi tratta come un pilota ufficiale e mi ha fornito tutto il supporto tecnico necessario, corro con una moto da enduro che è più facile da tirare su in caso di caduta, ho studiato un roll-bar a protezione delle gambe e tutto i pulsanti per freno, frizione e acceleratore sono sul manubrio. Ci siamo preparati a lungo nei mesi scorsi anche in Marocco che ha dune simili al Perù, anche se là dovrebbe essere più morbide. Ora si tratta solo di provare». Riposo è una parola che da domenica sarà accantonata? «Dovrò sfruttare tutti i momenti buoni. Dormo su un materasso antidecubito speciale allestito in una parte del furgone che mi accompagna ed è fondamentale perché mi manca la sensibilità dalla settima vertebra in giù e quindi ho una percezione diversa dell' equilibrio, dello sforzo fisico. Loro invece dormiranno tutti in tenda, come gli altri concorrenti. Ma la sveglia sarà anche per me alle 4 del mattino». Vincere per lei sarà... «Arrivare in fondo, anche perché festeggerò i miei 49 anni in gara il 13 gennaio. E tra quelli che mi seguono c' è Beatrice, mia figlia. Con lei devo fare bella figura». di Federico Danesi