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Cristiano Doni e calcioscommesse, nessuna condanna al penale: "Una farsa umiliante"

Davide Locano
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Li avevano arrestati in piena notte - era il 19 dicembre 2011: sirene, decine di carabinieri, minacce, caos - e prelevati a casa davanti a mogli e figli terrorizzati con un' operazione da serie tv come fossero delinquenti pericolosissimi. E li avevano ripresi, ovviamente, con video e fotografie per darli in pasto a stampa e tifosi. Poi la cella di isolamento vicino a criminali veri, l' ora d' aria e una settimana dietro le sbarre, perché quello doveva essere il secondo e clamoroso filone dell' inchiesta della Procura di Cremona sul calcioscommesse, partita sei mesi prima, che avrebbe dovuto ribaltare e ripulire il football marcio e punire i "cattivi", un centinaio di persone (tra indagati e arrestati), quasi tutti calciatori, ex calciatori o dirigenti. Roba da non credere. Già, i "cattivi". Vite rovinate e carriere troncate. Per 26 dei 31 imputati per partecipazione e associazione a delinquere, però, a distanza di sette anni e mezzo, il Tribunale di Bologna ha dichiarato estinta l' accusa per prescrizione (restano al vaglio dei giudici solo le posizioni di cinque presunti promotori e capi dell' associazione, tra cui Beppe Signori). Come dire: facciamo finta che non sia successo niente, dai, perché la giustizia ordinaria (a livello sportivo molti sono stati squalificati da uno a cinque anni) non ha avuto tempo o interesse per approfondire. Leggi anche: Mister 161 milioni: Atalanta, il miracolo di Gasperini «NON SONO FELICE» Sì, la solita assurda storia all' italiana (sul dibattimento ora incombe una pronuncia della Cassazione sulla competenza territoriale, già passata dalla Lombardia all' Emilia, che potrebbe, in caso di un nuovo trasferimento, allungare i tempi del processo). «Tutta una farsa umiliante - racconta l' ex capitano dell' Atalanta Cristiano Doni, uno dei coinvolti con Stefano Mauri, Sergio Pellissier, Stefano Bettarini, Luigi Sartor, Kewullay Conteh, Mauro Bressan - Oggi mi sono arrivati decine di messaggi, amici che si complimentavano, gente che mi scriveva "Cri, finalmente è finita". Ma io sono sincero: non riesco a essere felice, non provo gioia, ma rabbia. Sì, perché avrei preferito andare a processo e arrivare alla sentenza, anche pagare per le responsabilità che mi sono preso (omessa denuncia ndr), ma essere assolto dall' accusa di associazione a delinquere senza bisogno della prescrizione. Il risultato è che in sette anni e mezzo non sono riusciti a dimostrare niente e alla fine non c' è stata giustizia. Allora mi chiedo: interessava veramente arrivare alla verità oppure l' intento era solo creare clamore mediatico e finire sui giornali?». L'INTERROGATORIO L'ex capitano dell'Atalanta era uno dei calciatori più importanti e in vista coinvolti nell' inchiesta, uno di quelli arrestati e messi in carcere. Sorride ora, ma amaramente. «Se mi stupisce come è andata a finire? No, avevo capito tutto già dall' inizio. Questa prescrizione rispecchia quanto mi è capitato nell' ultimo interrogatorio: dopo tre anni ancora le stesse domande generiche, persone che non conoscevano la vicenda. Gli ho urlato: "Informatevi, che state giocando con la vita delle persone". Lì ho capito che non c' era nessun interesse ad arrivare alla verità, che tra l' altro era già fin troppo evidente negli atti». Doni, che a livello sportivo ha già pagato con tre anni e mezzo di squalifica più altri due per illecito sportivo e ha smesso di giocare, si guarda indietro. «Sono state dette e scritte tante cazzate su di me in questi anni. No, ora non mi interessano le scuse di nessuno. Mi basterebbe solo che venisse fuori chi ero veramente, con i miei difetti ma anche i pregi di uomo e calciatore». di Alessandro Dell'Orto

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