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Milan, ecco perché mister Giampaolo non "può" essere esonerato: il retroscena a tinte rossonere

Davide Locano
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Una volta a Milano uno scroscio di pioggia costò il primo esonero della carriera a Walter Mazzarri. Giovedì sera, invece, sul Milan si è abbattuta la tempesta dei granata guidati dall'allenatore livornese. Nonostante il 2-1 subito dal Torino, però, Marco Giampaolo non corre rischi per la sua panchina. E non per il suo coraggio nel difendere la squadra –, «è stata la migliore prestazione finora» –, ma perché il Diavolo non può fare altrimenti. I numeri del Milan sono così impietosi: tre sconfitte in cinque turni nonostante i soli cinque gol incassati, come la Juve. Il problema sono le sole tre marcature messe a segno, di cui due su rigore. Dopo i soli sei punti con Udinese, Brescia e Verona, i rossoneri hanno incassato una batosta nel derby e poi sono stati rimontati dal Toro: due prestazioni opposte, eppure terminate con lo stesso risultato. E Mazzarri si è confermato la bestia nera del collega: quattro pari e sei vittorie per il livornese negli scontri diretti tra i due allenatori, accomunati almeno per il momento dall'allergia alle grandi piazze. Leggi anche: Milan, la pista che porta a Spalletti RIBALTONE? Ce ne sarebbe abbastanza per gridare all'ennesimo ribaltone, ma non è di questo che ha bisogno il Milan. Dall'esonero nel gennaio 2014 di Massimiliano Allegri, alla guida del Diavolo si sono alternati sette tra ex bandiere e tecnici affermati. Nessuno è riuscito a dare un gioco né un'identità definitiva alla squadra tra cambi di proprietà e sessioni di mercato frenetiche. L'ultimo ad aver vinto qualcosa a Doha è stato proprio Vincenzo Montella, avversario di domani a San Siro con la sua Fiorentina: una squadra che il bel gioco lo mette già in campo, ma che ha dovuto aspettare la quinta giornata per trovare la prima vittoria ed è a -1 dal Diavolo. L'Aeroplanino lasciò il posto a Gennaro Gattuso, capace di spingersi nella scorsa stagione fino a un punto dalla qualificazione alla Champions League. Rino chiedeva acquisti di esperienza, Zvonimir Boban e Paolo Maldini hanno scelto di abbracciare la linea del fondo Elliott e di puntare sulle giovani promesse. Con l'inevitabile addio di Ringhio, la nuova dirigenza ha puntato su Giampaolo, «un maestro di calcio» (parola di Arrigo Sacchi). Se la scelta è stata chiara negli obiettivi - tornare a vedere un bel calcio -, non altrettanto la programmazione. Il tecnico non ha ricevuto un vero trequartista per il suo 4-3-1-2, né alcuno dei giocatori di qualità assoluta sognati dai rossoneri. Theo Hernandez, Bennacer e Leao, però, hanno dimostrato di poter comunque cambiare il volto della squadra. Anzi, proprio l'uscita del portoghese ha dato il via libera alla rimonta del Torino. Il resto lo ha fatto Belotti, il bomber inseguito a lungo dal Milan cinese prima di doversi accontentare di Kalinic. Il Gallo si è inventato due gol quasi da solo, mentre il rivale Piatek si divorava prima le occasioni per chiudere la partita e poi per il pari a tempo scaduto. SERVE CONVINZIONE Contro il Toro, dunque, il Milan ha dato la sensazione di aver intrapreso la strada giusta, ma di mancare della convinzione necessaria per percorrerla fino in fondo. Così come Giampaolo non ha trovato il coraggio di tenere in campo i nuovi rinunciando magari a Kessie o Suso. Nonostante questo, alla dirigenza tocca continuare a consigliarlo - come per la virata verso il tridente - e proteggerlo. Magari meglio di quanto non abbia fatto Boban dopo l'Inter: «Siamo molto delusi dal derby, dobbiamo crescere e farlo il prima possibile», sono state le parole del Cfo. Anche perché, bilancio alla mano, si capisce che non ci sono margini per puntare su un allenatore più affermato e costoso. Meglio resistere, dunque, e sperare che la squadra impari presto la lezione del maestro. di Francesco Perugini

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