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Vittorio Feltri: com'è triste e com'è lunga la domenica senza campionato

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C'era una volta il calcio, lo sport più popolare del mondo, anche del nostro Paese. Durante il fascismo gli azzurri della nazionale vinsero due mondiali, e il pallone diede forza e consensi al regime. Questo per dire che quattro pedate contano maggiormente di mille pensieri astrusi.
Non c' è niente di più concreto di un bel tiro potente, per non parlare di un gol.

Chi non è un tifoso (brutta parola che evoca una malattia) leggendo queste righe farà spallucce, ma sono dedicate a quelli come me, numerosi, i quali, allorché vedono su un campetto di periferia un gruppo di ragazzini che si contendono quella che il mitico Carosio definiva sfera di cuoio, faticano a resistere alla tentazione di togliersi la giacca e gettarsi nella mischia per partecipare alla gioia della partitella.

Cominciai da bambino a maltrattare l' attrezzo tondo. Negli anni Cinquanta era l' unico divertimento per noi fanciulli poveri di tutto, tranne che di energie da sfogare. Teatro dei confusi match era l' oratorio, sede di ogni svago giovanile, dove si svolgevano varie attività sotto lo sguardo bonario del curato, in primis il calcio, poi il cinema (film western), il tennis da tavolo. Al termine di ogni esercizio ludico si teneva un' ora obbligatoria di dottrina. Allora le preghiere si recitavano in un latino storpiato dall' ignoranza diffusa. Tuttavia andava bene lo stesso: il prete correggeva pazientemente gli sbagli marchiani. La nostra droga era la liquirizia, 5 lire al bastoncino nero.

La mia generazione è cresciuta nell' ambiente che sommariamente ho descritto. Forse è inutile ribadire che il pallone era ciò a cui ci dedicavamo anima cuore e gambe. Io non ero un asso, bensì una schiappa, sopperivo alle mie lacune tecniche con una foga della quale ancora mi vergogno. Mi capita talora di incontrare un coetaneo che mi ricorda non senza malignità: più che avventarti sul pallone miravi agli stinchi. Una esagerazione però non infondata.

 

Passano gli anni, addio all' oratorio, avevo altro da fare, eppure il calcio non l' ho mai trascurato del tutto: ho giocato a lungo nella quadra discreta del Corriere della Sera, impegnata nel torneo dei giornali, nel quale non ho mai perso di vista gli stinchi degli avversari che me ne urlavano di ogni colore. La domenica, dato che la tv era agli albori, appiccicavo l' orecchio al transistor per ascoltare Enrico Ameri e Sandro Ciotti che raccontavano con maestria ciò che accadeva sui campi della serie A. Era un godimento accresciuto dall' attesa spasmodica che succedesse qualcosa di importante.

La mia domenica pomeriggio era segnata dai collegamenti con gli stadi. I radiocronisti avevano un linguaggio colorito, un po' gergale, e ti facevano vivere qualsiasi azione, benché complicata. Naturalmente non mi facevo mancare il totocalcio. Mentre l' altoparlante mi aggiornava sull' andamento dei risultati parziali, controllavo i pronostici sulla schedina. In una circostanza avevo sotto gli occhi un bel 13 quando non rimanevano che tre minuti alla conclusione delle dispute.

Assaporavo già la gioia di riscuotere una porzione del montepremi. Nel giro di pochi istanti la situazione cambiò: segna il Milan e segna la Sampdoria e muta il quadro. Totalizzo uno sfottitorio 11 e ciao vincita. Ma l' emozione fu forte, indimenticabile. Milioni di italiani trascorrevano le ore pomeridiane festive allo stesso mio modo, ciascuno attento a quello che combinava la propria squadra. Era un rito irrinunciabile, esaltante.

 

 

Poi nasce Sky che soppianta la radio. Una rivoluzione. Gli incontri, per chi non ami frequentare gli stadi caotici e chiassosi, sono a disposizione sul piccolo schermo. Una beatitudine. Ore 15, ti sedevi in poltrona ed esultavi o sacramentavi osservando le prodezze o gli errori dei tuoi beniamini. In ogni caso la santificazione pedatoria della domenica, e spesso pure del sabato, era garantita. Non c' erano vuoti noiosi nella fine settimana. La fase postprandiale era piacevole trascorrerla tra un corner e una punizione.

Infine giunge il Covid e la felicità prevalentemente maschile si interrompe. Campionato e coppe internazionali sospese. Il video è grigio e al massimo offre la Venier e la D' Urso, magra consolazione. Il Primo Maggio, festa del lavoro che non c' è, dopo aver scritto un articolo allo scopo di rompere il tedio, mi sono sorbito un paio d' ore di Romina e Albano, anche perché la rilettura di Joyce, l' Ulisse, mi aveva provocato una specie di svenimento, sonno profondo. Il problema, ora che parte il rallentamento delle misure restrittive, non sarà risolto in fretta visto che il football è ancora condannato alla paralisi e ci costringe chissà per quanto a una dieta calcistica che determina se non sofferenza almeno disagio. Niente più derby né scontri al vertice e neppure in coda, seguita il digiuno e ciò rende tristi e sconcertati.

Qualcuno ritiene di rimediare all' astinenza acquistando giornali sportivi. Che informano a riguardo di Dybala positivo e altre fregnacce. I colleghi della Gazzetta e di Tuttosport si impegnano narrandoci ciò che non esiste: il calcio giocato, l' unico che interessa la moltitudine. Che orrore. L' esistenza senza rigori e rovesciate prosegue lo stesso, ma che coglioni.

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