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Giorgio Chiellini attacca l'Inter, simbolo dell'anti-juventinità (e non risparmia bordate a Balotelli e Felipe Melo)

Alessandro Dell'Orto
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Giorgio Chiellini ha 35 anni, la faccia da duro e i tacchetti sempre affilati, un ginocchio appena rifatto e una fantastica carriera (509 presenze e 36 reti con la Juve, club con il quale ha vinto 8 scudetti, 4 volte la Coppa Italia e 4 volte la Supercoppa italiana, e 103 partite con 8 gol in Nazionale) al limite, ma non ancora finita. Soprattutto, il difensore è uno che non vive di solo pallone (tre anni fa ha conseguito la laurea magistrale in Business administration, presso la Scuola di Management ed Economia dell' Università degli studi di Torino, con il punteggio di 110 e lode) e non è mai banale. Ecco perché, ogni volta che dice qualcosa, c' è da ascoltare con interesse; ecco perché le sue ultime riflessioni prese dall' autobiografia "Io, Giorgio" meritano attenzione.

Le bordate contro ex compagni e avversari come Balotelli e Felipe Melo («Mario è una persona negativa, senza rispetto per il gruppo - ha scritto -. In Confederations Cup, nel 2013, non ci diede una mano in niente, roba da prenderlo a schiaffi. Uno anche peggio era Felipe: il peggio del peggio. Con lui si rischiava sempre la rissa. Lo dissi anche ai dirigenti: è una mela marcia») sono dure, ma spiegano il confine tra cattiveria sportiva e intelligenza e tra chi sa distinguere il campo dalla vita e chi no («Non ho rancore né mi interessa averne - ha poi precisato il bianconero -. Non sono il migliore amico di tutti, però loro sono gli unici due ad essere andati oltre un limite accettabile. Immediata la replica. Balotelli: «Strano capitano, non dici mai le cose in faccia». Melo: «Questo difensore fa il fenomeno, ma rosica e se la fa sempre addosso»).
La parte più interessante, però, è sull' Inter. Già, la Benamata (termine coniato da Gianni Brera) che per gli juventini diventa la Beneodiata.

Chiellini non si nasconde perché ha personalità: «In campo viene fuori una parte di me che non esiste nella vita e che ho imparato a domare. In campo "odio" l' Inter, poi fuori si ride tutti insieme. Il messaggio di Javier Zanetti dopo l' infortunio è quello che mi ha fatto più piacere». Ecco, questo è il punto. La capacità di distinguere la professione (o anche solo un gioco) e l' agonismo dalla realtà. Le parole di Giorgio non fanno male al calcio - come qualche bacchettone potrebbe pensare - ma anzi lo rispettano e ne esaltano le parti più belle, quelle della sfida e della competizione, del voler primeggiare e vincere. Che poi è la base di tutti gli sport.

Sì, insomma, meglio un protagonista, come il bianconero, che dice chiaramente ciò che pensa, piuttosto che i soliti codardi che fingono di essere amici di tutti sponsorizzando terzo tempo e fair play, ma poi sono subdoli e poco rispettosi. La rivalità fa bene al football e anche il fatto che Chiellini ammetta di odiare l' Inter, quando ci gioca contro, fa bene al football. Anzi, fa bene anche ai nerazzurri, che ogni volta che affrontano la Juve e il difensore si sentono inevitabilmente più motivati, più carichi. E sanno pure che con uno come lui, al triplice fischio, sarà tutto finito.

D' altronde l' Inter è abituata a incarnare l' antijuventinità - è una sorta di rappresentante di chi detesta la Signora - e sa anche che è il bersaglio preferito dei bianconeri. Già, perché i due club e i rispettivi tifosi si detestano, pur con motivazioni differenti: c' è chi odia il rivale per antipatia genetica, chi invece perché lo considera losco e sempre al limite dell' illegalità. Ma anche questo è il bello del calcio.

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