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Juventus, Fabrizio Biasin all'attacco: colpa di Maurizio Sarri? No, della dirigenza

Fabrizio Biasin
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Siccome siamo fatti male, apriamo il processo alla Juve. Cioè, non abbiamo ancora archiviato quello all'Inter che ci tocca virare in casa bianconera. Cosa rara, tra l'altro. Pensateci un attimo: raramente in questi anni ci siamo ritrovati a rompere l'anima a sua maestà la Signora. È capitato qualche anno fa alla squadra di Allegri dopo un ko con il Sassuolo e per tutta risposta, quella squadra, iniziò a vincere a raffica. È ricapitato sempre ad Allegri perché «ha perso le finali di Champions» ma quelli, francamente, erano attacchi senza senso. Oggi tocca a Sarri e qualche buona ragione, a guardar bene, c'è. Troppo brutta la Juve dell'altra sera per essere vera. C'è la giustificazione della lunga sosta, è vero, ma quella vale anche per il Napoli che, invece, ha giocato una partita attenta e si è meritato la Coppa Italia. La Juve no, non ne ha azzeccata mezza: hanno sbagliato i giocatori, ha toppato il punto di riferimento Ronaldo e alla fine tutti quanti se la sono presa con il tecnico (compresa la sorella di Cr7, assai arrabbiata in un post su Instagram: «Come si fa a giocare in questa maniera»). E fin qui è tutto nella norma: la squadra favorita perde, si individua il responsabile, lo si impallina.  Nel caso specifico preferiamo fare un passo indietro, all'estate scorsa. I pluri campioni d'Italia decidono di cambiare guida tecnica. Si dice che la spinta sia del duo Nedved-Paratici, dirigenti poco contenti di quel che la squadra ha fatto vedere sul campo in termini di giuoco. Allegri non va bene, è troppo, per così dire, pragmatico. Agnelli andrebbe volentieri avanti col fidato Max, ma a un certo punto si convince: via il fidanzato di Ambra, dentro il vincitore dell'Europa League col Chelsea. Molti approvano («basta giocare così male!»), altri sono più scettici («mah, la Juve è abituata a un certo tipo di calcio da troppo tempo...»). Il risultato è che Nedved e Paratici portano avanti il loro progetto ma si dimenticano di "alimentarlo". La questione è la seguente: se disponi di un "gestore" alla Allegri o Zidane, quello si arrangerà col materiale a disposizione; se invece punti sul "maestro di calcio" beh... allora gli devi fornire gli alunni giusti. La Juve sbaglia il suo mercato, punta sui Ramsey e i Rabiot, che costano solo in commissioni ma guadagnano uno sproposito, prendono la stellina De Ligt (altro ingaggio mostruoso), oltre a Danilo e, insomma, fanno un sacco di cose ma nessuna in reale accordo con il loro tecnico.

 

 

Quello, il tecnico, nel bel mezzo dell'estate 2019 chiarisce in conferenza: «Qui ci sono 6 giocatori che devono andare via». E infatti la Juve prova a piazzare Higuain, Matuidi, Rugani, Mandzukic, persino Dybala, ma alla fine restano tutti. Questa cosa impedisce di "spingere" su Chiesa e su un numero 9 di livello. Il risultato è quello che abbiamo visto l'altra sera: con Higuain ai box e Mandzukic dall'altra parte del mondo, tocca a Ronaldo fare (male) la prima punta (a proposito, altri due ko in casa Juve: lesione muscolare per Khedira, problema al ginocchio per Alex Sandro). Ora, è accettabile che la squadra col più alto monte ingaggi per distacco della serie A si ritrovi in una situazione del genere? No, non lo è. È accettabile che si sia passati dalla logica del «vincere è l'unica cosa che conta» a quella del «bisogna vincere ma anche giocare bene» e, infine, ci si sia ritrovati a perdere giocando male? Ve lo diciamo noi, non è accettabile. E la colpa, sì, è anche di Sarri che ha fatto fatica a legare col suo gruppo di lavoro, ma soprattutto di chi non l'ha messo nelle condizioni di farlo. Disse a suo tempo Andrea Agnelli (maggio 2019, il giorno dell'addio ad Allegri): «Gestire aziende significa prendere le giuste decisioni quando è giusto farlo. Solo il futuro dirà se le scelte prese sono state corrette o meno». Ed è vero, non è ancora tempo di bilanci, perché in campionato i bianconeri sono primi e hanno ancora tutte le possibilità di arrivare in fondo alla Champions. La sensazione, però, è che cotanto patron tornerebbe volentieri indietro, ovvero al momento in cui decise di «lasciar fare» ai suoi dirigenti e, da subito, non sembrò troppo convinto. 

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