Cerca
Logo
Cerca
+

Vincenzo Spadafora, il ministro dello Sport che tiene ferme decine di sport: perché?

  • a
  • a
  • a

Lo sport italiano guarda avanti perché ha voglia di ripartire a tutti i livelli, ma le incognite sono tante. Troppe. E fanno paura al calcio professionistico (è ufficiale, i prossimo campionato di serie A inizierà il 19 settembre) come all'attività di base, quella che tante volte il ministro dello sport Vincenzo Spadafora ha detto di voler tutelare (mentre lavora alla riforma dello sport che suscita riflessioni anche nello stesso M5S). E non ha mai tutelato veramente. I paletti posti dagli esperti del Comitato tecnico-scientifico - già protagonisti di un lungo braccio di ferro col mondo del pallone - restano però insormontabili per chi spera in un progressivo ritorno alla normalità per garantire la salute dei club.

 

PALLONI SGONFIATI
Protocolli, tamponi, pubblico: questioni da risolvere per la ripresa naturale delle attività professionistiche e dilettantistiche nel nostro Paese. «Non si può disputare un'altra stagione coi tamponi ogni quattro giorni», ha attaccato nei giorni scorsi il presidente della Figc Gabriele Gravina. «Bisogna valutare il ritorno del pubblico negli stadi», ha aggiunto il numero 1 della Lega di A Paolo Dal Pino. Una gestione più normale della stagione e il ritorno dell'affluenza - anche se parziale come da dossier dei club che hanno già perso un centinaio di milioni di solo botteghino - sono fondamentali per la sopravvivenza del sistema. E se il calcio della massima serie può comunque contare sugli introiti televisivi per sopravvivere, così non è se si scivola verso il basso.

Perché il paradosso attuale permette di giocare a calcio in strada, al parco, al campetto, ma non in un centro sportivo: proprio come quando fu consentita la ripresa dell'attività sportiva all'aperto, ma il ministro Spadafora bloccò le sedute collettive di allenamento per gli sport di squadra. «È emersa la forte volontà e l'unanime richiesta di una sostanziale modifica dell'attuale protocollo», chiedono all'unanimità i comitati regionali dilettantistici.

PALESTRE A RISCHIO
Senza pubblico, inoltre, intere discipline sono a rischio. È il caso del basket che ha lanciato il grido d'allarme. «Non saremo in grado di sostenere i costi legati agli standard del protocollo (10 mila euro al mese per club, ndr)», ha denunciato il presidente della Lega, Umberto Gandini che guarda anche al lato economico strettamente legato alla vendita dei biglietti per le partite: lo stop precoce della stagione è costato 40 milioni su 110 totali generati dalla massima serie cestistica. «Non vedo perché nei palasport non si possano applicare le stesse modalità valide per treni, aerei e teatri».

 

Un richiamo che ricorda le perplessità del collega Dal Pino sulle discoteche piene e la festa-scudetto della Juventus a porte chiuse. Senza incassi d'altronde il movimento cestistico rischia il collasso come il mondo della pallavolo, ancor più in difficoltà dopo la proroga dello stato di emergenza da parte del governo: una decisione che ha di fatto prolungato lo stop a qualunque tipo di attività, sia indoor che all'aperto. Emerge poi fortissimo il tema dell'attività di base che rischia lo stop se le palestre scolastiche, che ospitano la gran parte dei club, dovessero essere requisite per essere utilizzate come aule per garantire il distanziamento sociale durante le ore di lezione. O se dovessero essere richieste opere di pulizia e sanificazione dai costi insostenibili per le associazioni dilettantistiche.

TUTTI IN CRISI
E il rugby? I recuperi del Sei Nazioni con il resto dell'attività internazionale si disputeranno a cavallo tra ottobre e novembre, ma senza spettatori il danno economico rimarrebbe enorme (2,5 milioni i biglietti di Italia-Inghilterra, fino a 20 milioni di indotto complessivo). Anche la pallanuoto soffre, visto che le normative per il distanziamento rendono complicata negli impianti la rimozione dei galleggianti tra le corsie. E il 40% delle 1.500 società affiliate alla Federnuoto rischia la bancarotta a causa dei minori introiti legati all'utilizzo contingentato delle vasche.

La crisi non conosce confini di passione e terreno: le gare podistiche di massa hanno visto un crollo delle iscrizioni a causa dell'obbligo di partenze scaglionate (con enormi disagi per i numeri più alti), ma forse qui si sconta ancora l'odio innescato contro i runner durante il lockdown. Stesso destino per le grandi competizioni del ciclismo, da quelle pro (ripartite con le Strade bianche) a quelle amatoriali: l'accesso contingentato alle aree di partenza e arrivo, oltre partenze scaglionate, tolgono fascino alle competizioni. Per non parlare poi della crescente contrarietà delle amministrazioni locali al passaggio delle carovane: nella "frugale" Olanda è stata annullata una corsa femminile mentre sabato in Italia vedremo la prima Milano-Sanremo "piemontese" della storia.

Dai blog