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Paolo Simoncelli, il padre di Marco a tre giorni dalla gara di Misano si lascia andare ai ricordi: "Troppi attori in questa MotoGp"

Tommaso Lorenzini
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Paolo Simoncelli, il Motomondiale sbarca a Misano per un doppio round, 13 e 20 settembre. «Finalmente, dopo tanti viaggi complicati dalle regole anti Covid sarà un relax andare al circuito: da Coriano alla pista praticamente siamo a casa, neanche 10 chilometri».

Come è questa stagione?

«Un po' triste, si sente l'assenza della gente e quel contatto con i tifosi che a volte è perfino esagerato. Addirittura, mancano un po' i rompiscatole in giro nel paddock: in fondo, anche loro sono una parte dello spettacolo... ».

I piloti lo avvertono?

«Secondo me sì. Correre per un pubblico che osserva e incita aumenta l'adrenalina, infatti il ritorno degli spettatori qui a Misano, per quanto solo 10mila, è importante. Certo, se pensiamo che si è proprio rischiato di non correre, allora va bene così. Bisogna fare i complimenti alla Dorna e a Carmelo Ezpeleta perché sono stati molto bravi nell'organizzazione e, soprattutto, hanno capito che c'era bisogno di supportare economicamente i team, o sarebbe stato un disastro».

Quest' anno il team Moto3 che dirige, la SIC58 Squadra Corse, ha conquistato una grande vittoria nella "gara 2" di Jerez con Tatsuki Suzuki, ma poi sia lui sia Niccolò Antonelli stanno facendo fatica.

«Dalla tv sembra tutto facile. Se guardiamo il foglio classifica a fine gara potrebbe sembrare così, ma io dico che siamo in linea con i nostri piani, siamo in tempo per fare bene e per fare tutto. Antonelli sta crescendo, Suzuki sta diventando un pilota vero. Ai risultati dei due Gp in Austria (Suzuki 10° e 7°, Antonelli 19° e16°, ndr) non do troppo peso perché sapevamo già prima che non è un pista adatta alle nostre caratteristiche».

A proposito di Austria, abbiamo visto incidenti pazzeschi: Syahrin che centra la moto di Bastianini, quelle di Zarco e Morbidelli che sfiorano Rossi e Viñales, lo stesso Viñales costretto a buttarsi giù a 220 all'ora per la rottura dei freni.

«Il destino ha mostrato che sceglie sempre lui, per fortuna ha deciso che non era tempo di riscuotere nulla».

Lei però si è infuriato perché, in tutte le classi, ci sono stati piloti che hanno sfruttato le vie di fuga asfaltate per frenare più tardi, magari sbagliare, poi tornare in pista come nulla fosse.

«E sono ancora molto infuriato. Sono state fatte le vie di fuga asfaltate e lo spazio verde in cemento per aumentare la sicurezza, e anche perché per le auto va meglio così. In realtà, parecchi le sfruttano per frenare più tardi, poi tanto sanno che se va male tornano in gara e magari vengono a dare fastidio a me che sto lottando per la vittoria senza aver mai superato i limiti della pista: allora chi rispetta le regole è un coglione? Ne ho già parlato con chi di dovere, anche Capirossi e Uncini sono d'accordo con me: è un regolamento sbagliato che va corretto. Io propongo questo: ogni volta che un pilota va sul verde becca una penalità di un secondo, a fine gara si prende il tempo totale, si guarda quante volte l'ha fatto e gli si tolgono i secondi. Probabilmente smetteranno».

Buttiamoci su Misano: lo scorso anno il suo Suzuki, pilota nippo-italiano che lei considera quasi un secondo figlio, ha centrato qui la prima, clamorosa vittoria.

«Una giornata irripetibile, anche se ovviamente speriamo di rivivere».

La pista è intitolata a Marco: quanto manca a questo motomondiale uno come il Sic?

«Parecchio, penso che avrebbe molto da insegnare ai tanti ragazzotti che si affacciano sotto i riflettori. Sia dal punto di vista motociclistico, sia da quello umano. Vi ricordate che tipo? Sempre sorridente, schietto, mai banale. Oggi purtroppo vedo un po' troppi attori. E chissà che duelli avrebbe messo giù con Marc Marquez».

Ecco, Marquez: lei lo avrebbe fatto tornare subito dopo l'omero rotto a Jerez?

«Ragionando da responsabile del team non lo so, capisco che quando c'è un Mondiale di mezzo si prova ogni strada, però sarebbe stata una decisione molto difficile, tuttavia non credo che sia stata la Honda a spingere. Da padre invece avrei detto no, col cavolo che lo facevo tornare quattro giorni dopo l'operazione. Ma avete visto le lastre dell'osso rotto? Pensate cosa vuol dire dover tenere fra le mani una Motogp da 250 cavalli in piena accelerazione col braccio ridotto in quel modo. Sa qual è il problema?».

Quale?

«Che in tanti non pensano che c'è un dopo. Abbiamo avuto dei geni come il dottor Costa che hanno permesso di correre a gente messa male, curandoli nel corpo e nella mente, però oggi mi capita di vedere piloti ed ex piloti in giro per il paddock tutti storti perché non hanno saputo capire che era il momento di fermarsi».

 

 

 

 

Chi non si ferma è il lavoro della Fondazione Marco Simoncelli. La Casa Famiglia che avete costruito a Coriano ormai è super operativa.

«Sì, dal giugno scorso siamo aperti 24 ore su 24 per chiunque abbia bisogno, ospitiamo, seguiamo e aiutiamo ragazzi disabili perseguendo quella fantastica filosofia di vita che aveva mio figlio. Certo che anche per noi il Covid è stato pesante».

Cosa è successo?

«Ora è tutto ok, ma purtroppo allo scoppio della pandemia tutti i ragazzi sono risultati positivi. Per fortuna sono stati curati subito, se la sono cavata con delle febbriciattole. Sembra che a portare il virus sia stato il medico, che poi è morto, poveretto. Questo Covid è davvero bastardo, si può proteggersi ma serve avere fortuna».

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