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Atalanta, la vera storia: così la Dea è diventata grande con i soldi facili delle "ribelli"

Alessandro Dell'Orto
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L'impresa più straordinaria dell'Atalanta non è essersi qualificata due volte di fila in Champions League né poi essere arrivata ai quarti e agli ottavi, non è giocarsi la finale di Coppa Italia per la seconda volta in tre stagioni e non lo è nemmeno essere considerata - dai tecnici delle big europee - una squadra da evitare e da Ceferin - presidente dell'Uefa - una squadra modello. No. L'impresa più straordinaria dell'Atalanta è aver fatto tutto ciò in sole cinque stagioni. Cin-que. Già, nel campionato 2015-16 - praticamente l'altro giorno, non una vita fa - il club nerazzurro, allora guidato da Reja e con in rosa dieci giocatori poi diventati importanti nel boom (tra loro quattro titolari della super Dea di adesso: Toloi, Freuler, de Roon e Djimsiti) si classificava al tredicesimo posto e festeggiava il raggiungimento dell'obiettivo di quel momento: la salvezza. Pazzesco. 

 

Ma cosa è cambiato da allora a Bergamo? Cosa è successo? Come è nata questa Atalanta esaltante? La scintilla magica è stato l'incontro tra due geni del football: Antonio Percassi e Gian Piero Gasperini. Il primo, imprenditore sempre avanti nel tempo, si è completato con il secondo, un allenatore rivoluzionario e d'attacco. Ne è nato un mix di idee, progetti, coraggio che ha trasformato il provincialotto calcio bergamasco di quegli anni in una filosofia pallonara europea - la più europea d'Italia - e vincente. Il modello di lavoro è fin troppo semplice da raccontare e banale da pensare: giocare bene, puntare su calciatori del vivaio e sconosciuti potenzialmente bravi, valorizzarli, rivenderli a cifre altissime e poi, con i soldi incassati, ripartire da capo alzando sempre più il livello degli acquisti e di conseguenza della squadra. Con un piccolo particolare: nel frattempo bisogna vincere e divertire, stupire e crescere in personalità e mentalità. 

 

A Bergamo è andata - e sta ancora andando - più o meno così ed è per questo che il club nerazzurro sta entrando nella storia (bergamasca e non solo). E sta facendo scuola. Sì, perché i grandi club hanno qualcosa da imparare da questa gestione che dimostra come sia possibile ottenere risultati e fare quattrini. Se ci pensate bene, la fortuna dell'Atalanta sono stati proprio quei club che - messi alle strette dai debiti e dai bilanci soffocanti - hanno cercato di rifugiarsi nella Superlega, società che forse avrebbero potuto evitare la figuraccia se avessero investito meglio prima, senza sperperare troppo. 

Tradotto: se l'Atalanta è una grande realtà, in salute e vincente, il merito è proprio di chi l'hanno fatta crescere economicamente strapagando, spesso più del dovuto, i giocatori nerazzurri. Il Milan dalla Dea ha acquistato Kessie (24 milioni) e Conti (24), la Juve ha preso Caldara (19) e Kulusevski (35), l'Inter si è accaparrata prima Gagliardini (20) e poi Bastoni (31), il Manchester United ha scommesso su Diallo (21). Tutti bravi calciatori, alcuni bravissimi. Ma che forse, in certi casi, i grandi club avrebbero potuto scovare prima e poi crescere in casa. Proprio come fanno da cinque anni quei geni di Percassi e Gasperini.

 

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