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Tokyo 2021, il trans sollevatore di pesi che vince ogni gara. La rivolta delle colleghe: un caso in vista dei Giochi

Tiziana Lapelosa
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Quando si dice "vincere facile". Fare man bassa di medaglie perché si gareggia da donna, ma con la forza (quasi) di un uomo. Quella forza ereditata durante la pubertà, quando di nome faceva Gavin e di cognome Hubbard, e i suoi muscoli e il suo scheletro si plasmavano su connotati maschili, almeno all'apparenza. Gavin amava lo sport, di quelli difficili, tra l'altro, come il sollevamento pesi. Oggi di quel Gavin è rimasta la struttura, la fisicità, ma non il genere. A partire dal nome, Laurel, fino a scendere giù, nei connotati e nell'anima. L'atleta (o bisognerebbe dire atleto?) da uomo è diventato una donna guadagnandosi un posto alle Olimpiadi di Tokyo 2021. Sarà la prima atleta transgender a prendere parte alla competizione più ambìta e più importante di sempre per lo sport nella categoria +87Kg. Con lei altre quattro atlete. E così, lui/lei, nata 43 anni fa in Nuova Zelanda, un papà, Dick, che è stato sindaco di Auckland, e che nella vita passata alle competizioni non faceva mai bella figura (se per bella figura si intende vincere delle medaglie e non solo partecipare) si ritrova ora, da donna, a conquistare premi qua e là. Con l'amarezza di chi donna ci è nata e mai potrà avere la stessa forza di Laurel.

 

 

 

Chiariamo: ognuno è libero di essere e sentirsi quel che vuole, di cambiare sesso, di tenersi quello che ha. Legittimo, invece, chiedersi se l'atleta in questione, e chi come lei, possa trarre un vantaggio biologico rispetto alle colleghe con le quali gareggerà. Un dibattito alimentato proprio in Nuova Zelanda dove non poche colleghe si erano risentite quando, nel 2015, il Comitato Olimpico Internazionale aveva dato il via libera ai transgender alle competizioni maschili e femminili senza l'obbligo di intervento chirurgico e terapie ormonali. Il vincolo, nella categoria femminile, riguarda solo il livello di testosterone nel sangue che deve essere inferiore a 10 nanomoli per litro nell'anno che precede la competizione. La pesista Tracy Lambrechs, connazionale della Hubber, è stata tra le prime a parlare di falsi risultati alle gare e di "furto" alle atlete. La sollevatrice, che sul podio ci è salita più volte nella divisione +75Kg, ha anche accusato il Comitato neozelandese di «zittire» le atlete che sollevano la questione. Dunque, guai a dire che ci possa essere un vantaggio biologico ereditato dalla pubertà. Osservazioni- e questa è un'altra delle accuse - affatto prese in considerazione dal Comitato Olimpico nel ratificare la partecipazione dei transgender.

Di «brutto scherzo» per le concorrenti donne parla la belga Anna Vanbellinghen, che in Giappone si ritroverà la Hubbard in pedana. «Sono consapevole che definire un quadro legale per la partecipazione degli atleti transgender allo sport è molto difficile poiché c'è un'infinita varietà di situazioni e che raggiungere una soluzione del tutto soddisfacente, da entrambi i lati del dibattito, è probabilmente impossibile», dice. E aggiunge: «Tuttavia chiunque abbia praticato il sollevamento pesi ad alto livello sa che questa particolare situazione è ingiusta per lo sport e per gli atleti". In passato la Hubbard, che ha già preso parte ai Giochi del Commonwealth a Gold Coast nel 2018 dove un infortunio le ha rallentato la carriera, ha vinto un argento ai Campionati del mondo 2017 un oro ai Giochi del Pacifico del 2019 a Samoa, aveva detto di essere «consapevole delle divisioni che la sua presenza crea nel mondo dello sport» che «non potrebbe essere pronto per un'atleta come lei». Già, e non perché si è transgender, ma forse perché non si gareggia ad armi pari. 

 

 

 

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