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Tokyo 2020, Vittorio Feltri su Lucio Zurlo: "Il miracolo in uno scantinato", la storia più bella di queste Olimpiadi

Vittorio Feltri
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Le Olimpiadi sono finite e un po' mi dispiace. In passato le seguivo però non con l'euforia di quest' anno poiché mi hanno offerto non solo spettacoli sportivi entusiasmanti, ma anche ritagli di vita italiana di cui avevo perso contezza. Quaranta medaglie sono tanta roba per un Paese disorganizzato come il nostro, privo di strutture, cioè di impianti all'altezza di preparare atleti per competizioni internazionali. E questo dato mi ha fatto capire che non abbiamo ancora disimparato l'arte di arrangiarci. 

Mancano le palestre? Non importa. Ce la facciamo lo stesso ad allenarci: nel corridoio di casa, in salotto, in cortile. Poi andiamo in giro per il mondo a misurarci con gente che dispone di enormi spazi dedicati ad ogni disciplina e spesso la battiamo. Siamo un po' pasticcioni tuttavia riusciamo a compiere dei miracoli. Come è accaduto a Tokyo dove abbiamo assistito a prodezze inimmaginabili. I fenomeni non sono soltanto coloro che hanno gareggiato, bensì pure gli allenatori, persone squattrinate, all'apparenza modeste sebbene capaci di forgiare campioni pur senza disporre di mezzi adeguati. Un esempio, Zurlo, napoletano di classe, che in uno scantinato prepara pugili di grande tecnica e li butta sui ring più rinomati del globo ottenendo risultati strepitosi. 

 

Come può essere che in una città incasinata quale quella ai piedi del Vesuvio si possa esprimere tanta qualità? Zurlo è un uomo fantastico che parla con la correttezza di un professore e riesce a insegnare a sferrare pugni con l'eleganza tipica dei ballerini della Scala. I Giochi a cui abbiamo assistito fino a un paio di giorni fa resteranno impressi nella nostra memoria soprattutto per altri motivi direi sociologici. Ci hanno regalato uno spaccato dell'Italia che ancora è e che è sempre stata. Un po' paesana, capace di cavarsela nelle peggiori difficoltà, sorretta da famiglie tradizionali che seguono i loro figli con amore e dedizione estrema. Dalla Lombardia alla Sicilia, l'italianità è esplosa nell'unico modo che può: con l'amore per i propri discendenti a cui sacrifica tutto, perfino i pochi spiccioli dei quali dispongono i nostri connazionali. L'Olimpiade ci ha dato prova che lo Stivale non è disgregato, bensì unito dallo stesso spirito di sacrificio e dalla stessa volontà. 

 

Siamo protagonisti a nostra insaputa, lo abbiamo scoperto anche grazie aun bellissimo programma televisivo, andato in onda ogni sera su Raidue e intitolato Il Circolo degli Anelli. Un capolavoro che ha indagato con grande delicatezza nelle abitazioni dei medagliati, i vincitori, ragazzi e ragazze tali e quali ai nostri eredi, seguiti dalle mamme e dai papà con amore e trepidazione. Abbiamo verificato per merito della splendida conduttrice la pulizia, direi il lindore dei tinelli e salottini dove si festeggiava la conquista di titoli nell'atletica e in qualsiasi altra specialità, e dove trionfava la soddisfazione commovente della piccola borghesia nella quale quasi tutti ci riconosciamo. Questi Giochi che hanno rotto le preoccupazioni per il Covid, le noie della politica ripetitiva e inconcludente, ci hanno confortato: forse ci stiamo avvicinando o abbiamo raggiunto l'Unità nazionale che rincorriamo da un secolo e mezzo. 

Irma Testa e Abbiamo fatto il tifo più sfrenato per gli atleti della Sicilia, della Campania, della Puglia e della Lombardia senza fare distinzioni. Ci siamo specchiati nella medesima patria, abbiamo esultato ogni volta che uno dei nostri è salito sul podio. Insomma, finalmente, siamo contenti in gruppo, saltiamo di gioia e cessiamo di bisticciare. Non avrei mai pensato che lo sport in generale, e non soltanto il calcio, ci donasse tanta letizia.

 

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