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Fabio Aru, la scelta del Cavaliere delle occasioni perse: altra vita dopo il ciclismo

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Federico Danesi
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E dire che lui voleva solo viaggiare. Conoscere il mondo coltivando la sua passione, vacanze e mondi nuovi. Poteva diventare agente o albergatore e invece ha scelto la via della fatica in bici. Solo che oggi Fabio Aru sa di aver dato tutto e tutto ha preso, o almeno tutto quello che si è concesso e gli hanno permesso. Quindi meglio salutare e ricominciare con qualcos' altro, anche se oggi 31 anni per un professionista sono pochi, per dire addio. Pochi ma abbastanza per lui che almeno metà della vita l'ha passata tra plotone e salite, anche non sono stati il primo amore. Giocava a calcio e tennis, interessi ereditata dal padre Alessandro che in effetti con la racchetta se la cavava anche piuttosto bene. Agricoltore lui, insegnante mamma Antonella, ma il piccolo Fabio non ha ereditato la passione di nessuno. Però un'idea in testa gli frullava già chiara. A 13 anni si ritrova dentro un lungo viaggio con la famiglia in Francia, tra Parigi e Lourdes che per i cattolici significa tutto, ma anche a chi vive di bici dice molto. E non a caso, lì compra la sua prima maglia da ciclista anche se non era il suo amore primario: «10 euro ben investiti», come ha raccontato di recente.

 

 

PUPILLO DI COLNAGO
Poi torna a Villacidro, tredicimila anime. Ai campi di tennis e a prati di calcio comincia a preferire gli sterrati e la strada. Più i primi dei secondi, almeno inizialmente, ché la sua idea di ciclismo si concretizza nella mountain bike e nel ciclocross, disciplina rispolverata lo scorso inverno quando ha scelto di ripartire da lì prima poi passare alla Qhubeka-Assos. Su quegli sterrati Fabio ha tracciato una strada, per sé e per gli altri, diventando il simbolo di una Sardegna che il ciclismo l'ha molto amato e praticato trovando però decisamente complicato come esprimerlo. Per questo, anche lui non appena ha potuto, se n'è andato senza mai rescindere il cordone ombelicale con l'isola. In principio è stata Bergamo e il felice incontro con Olivano Locatelli che gli ha dato le dritte giuste e lo ha fatto arrivare nel ciclismo che conta. Che valesse, lo avevano capito in fretta gli addetti ai lavori che lo hanno visto volare al Giro della Valle d'Aosta. Cosa potesse fare, lo ha messo nero su bianco Giuseppe Martinelli, uno che gli ha voluto bene allora e glie ne vuole ancora oggi nonostante si siano lasciati da tempo. L'occasione frai professionisti con l'Astana, a 22 anni, è stata la prima e anche quella buona. Martinelli, che di rivalità importanti ne aveva già viste e gestite tante in passato, aveva per le mani un Nibali al massimo della sua espressione e un Aru che stava sbocciando. E il sardo, per quanto ha potuto, li ha sfruttati al meglio, ripagato con gli interessi: come in quei due Giri d'Italia chiusi sul podio e conditi da imprese memorabili, con la vittoria di Cervinia che ancora oggi resta il suo pezzo forte; come nel trionfo alla Vuelta 2015 che l'ha fatto entrare nella storia. Per uno che ha sempre avuto come idoli dichiarati Contador e Valverde, la consacrazione vera e la consapevolezza che quella vita da nomade voluta, ma non appieno sopportata, aveva finalmente un senso compiuto.

 

 

Non è successo allora, ma è successo. Fabio ha cominciato a lottare con sé prima ancora che con la strada, sospeso tra sforzo e consapevolezza. Un giorno vinceva il primo, un altro la seconda e così si è convinto che aveva senso andare avanti. A sorreggerlo, l'amore del pubblico che non è mai mancato. Ad abbatterlo, il fatto di non essete mai stato capito fino in fondo. E così paradossalmente, quella vittoria a La Planche des Belles Filles (non lo sapevamo né noi né lui ma di fatto tutto è finito lì) e la maglia gialla indossata al Tour 2017 è diventata una condanna, invece che un trampolino. Ernesto Colnago ha fortemente voluto portarlo alla UAE Team Emirates, perché il suo consiglio in quella squadra era legge, fortemente lo ha supportato anche quando nel 2018 è stato mandato a quel paese in mondovisione da Fabio dopo una caduta alla Vuelta: colpa di una cambiata errata e non della «bici di merda». Fosse stato per lui, dopo quell'operazione all'arteria iliaca che ha risolto un problema ma non è diventata la soluzione, l'avrebbe tenuto ancora a lungo e invece tutto ormai con il ds Beppe Saronni era compromesso. Troppo duro, l'ex campione del mondo. Forse, ma è stato certamente onesto nonostante il contesto non fisse propriamente indicato.

 

 

LA FAMIGLIA
Lì l'equilibrio del Fabio atleta ha virato verso il punto più basso, in compenso il Fabio uomo aveva già trovato spalle forti a sorreggerlo: la compagna Valentina, torinese di Trama che non fa nemmeno 4mila abitanti e in fondo in po' Villacidro gliela ricordava anche se vivono stabilmente a Lugano. E Ginevra, la piccola di casa diventata una ragione di vita. Oggi Aru è pentito di aver lasciato l'Astana trovando a suo dire persone che non l'hanno saputo sostenere. Ma ha certezze chiare in testa, come la fede: «Non ci si appella a Dio solo nel momento della difficoltà, ma occorre ricordarsi di quello che ci dona anche quando le cose vanno bene, anche quando pensiamo che il successo sia normale», ha detto a Famiglia Cristiana. Ora comincia un altro viaggio e la meta in testa ce l'ha solo lui.

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