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Danilo Petrucci, il motociclista presenta la sua Dakar: "In Arabia cercherò la mia Africa"

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Tommaso Lorenzini
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Danilo Petrucci ha già scoperto quanto il deserto sappia essere infido: «Sono a casa a Terni e sto andando a fare fisioterapia alla caviglia destra, mi sono procurato due fratturine all'astragalo e al perone ma niente di che, a gennaio sarò al 100%. Nei giorni scorsi ero ad allenarmi a Dubai con i ragazzi del team Ktm, Sunderland e Price, sulle nostre 450, e stavamo preparando un road book: io ho provato a uscire fuori traccia e sono rimasto piantato in una buca. Basta un attimo... Un'esperienza che mi servirà».

Già, perché Danilo quest' anno ha deciso che il Capodanno lo farà nel deserto, non per un thè bensì per un rally: anzi, "il" rally.

«Correrò la mia prima Dakar, è un sogno che cullavo fin da bambino, Ktm mi ha fatto questo regalo. Sarò il primo a provare il salto dalla MotoGP alla sabbia. Il percorso inverso l'ha fatto negli Anni 90 Jean-Michel Bayle: vinceva nel motocross e andava forte nel Motomondiale, ma io non avrò ambizioni di classifica».

A proposito di Motomondiale, l'avventura proprio con Ktm non è andata come sperato.

«No, su questo siamo stati molto onesti sia io sia la squadra: ci aspettavamo di più. A penalizzarmi parecchio è stata la mia struttura fisica: quando dicevo agli ingegneri di pista che peso 83 kg si sentivano male, mentre qui nella squadra rally sono uno dei più leggeri. La Ducati era molto veloce e alla fine quell'uno-due decimi che perdevo dagli altri piloti potevo recuperarli, mentre la Ktm era fatta per piloti minuti e, soprattutto in rettilineo, beccavo anche anche mezzo secondo».

A 31 anni la sua carriera da pilota "da circuito" è finita?

«Non lo so, ho un'offerta per correre con la Ducati nella Superbike americana e l'idea di trasferirmi negli Usa mi intriga. Deciderò dopo questa avventura in Arabia».

 

 

Ecco, che Dakar sarà?

«Sarà un pellegrinaggio, un inno alla moto, perché alla fine in gara saremo io e lei. Sarà come cercare la mia Africa nel deserto saudita. Fin da piccolo ho sempre seguito le imprese di gente come Orioli, Sala, Fabrizio Meoni è stato un mito. Il via è fissato l'1 gennaio da Jeddah, l'arrivo è sempre lì il 14, dopo circa 8mila km e per me sarà come viaggiare su un pianeta sconosciuto e inesplorato».

Le difficoltà di adattamento maggiori?

«Velocità e resistenza ce li ho, anche perché ho sempre praticato il motocross per passione e allenamento. Di certo cambierà il "passo gara", ben diverso rispetto alla MotoGp anche se andare a quasi 150 all'ora sulla sabbia non è una passeggiata. Anzi, la difficoltà è che invece di andare "a tutta" per 45 minuti devi farlo per otto ore: come dodici gare di MotoGp di fila. Sarà una sfida prima mentale che fisica, sopratutto per me che non sono abituato, nonostante i miei compagni e il team mi stiano dando preziosi consigli».

Come affronterà una tappa, dal lato pratico?

«Per bere siamo attrezzati con una camelbag da 3 litri, uno "zaino" dal quale beviamo sali minerali e carboidrati. Si mangia prima o dopo il trasferimento, al rifornimento prima della "speciale": in 15 minuti riempiamo il camelbag, mettiamo benzina, buttiamo giù barrette energetiche e qualche gel e si riparte».

 

Petrucci scusi, ma una pipì nel deserto?

«Anche quella si fa prima del trasferimento o al rifornimento. In gara non ci si ferma mai ma non è un problema, perché si suda talmente tanto da non averne bisogno. Ho fatto un allenamento di otto ore filate, durante il quale ho bevuto 10 litri di liquidi senza mai sentire lo "stimolo" perché li ho sudati tutti. Semmai capita di farla per via del freddo del mattino».

Ma non siete nel deserto?

«Sì, ma le tappe iniziano prestissimo, fra le 3 e le 5, e fa talmente freddo che il trasferimento lo facciamo con abbigliamento da sci: a volte hanno trovato anche -5. Poi inizia a far caldo per la "speciale", fino a 30 gradi. Gli arrivi saranno fra le 14 e le 16: mi hanno detto che si fa in tempo a mangiare e poi si va a letto perché si arriva al bivacco cotti a puntino». 

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