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Simone Inzaghi, "faccia d'angelo" ha fatto innamorare l'Inter: ecco il suo segreto

Claudio Savelli
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Lo scorso anno, la Curva Nord del Meazza ha sdoganato i cori ad personam dopo dieci stagioni di proibizionismo. Erano una ricorrenza ai tempi di Mancini e Mourinho, quando l'Inter inanellava successi, cancellata poi nel periodo di crisi e smantellamento dai grandi giocatori del post-Moratti, tra Thohir e Suning. 

 

I cori sono tornati ad avvolgere le partite dell'Inter lo scorso anno, come a benedire il ritrovato scudetto, e stanno echeggiando con ulteriore forza (anche perché numericamente i tifosi sono di più) nella stagione in corso. Il nome più gettonato? A sorpresa, Simone Inzaghi. Ogni partita, in casa o trasferta, il mister riceve almeno un paio di canzoni personalizzate. Più di qualsiasi calciatore. Inzaghi si è preso il mondo-Inter in silenzio, a suon di pragmatismo e profilo basso. Il suo approccio è diverso da quello di tutti i predecessori apprezzati dal tifo nerazzurro. Leader rumorosi, condottieri plateali, seducenti cantastorie, l'Inter è sempre stata conquistata dai prestigiatori dell'extra campo. 

 

Ma Inzaghi non è spudorato come Conte, non è ruffiano come Mourinho, non è carismatico come Mancini, non è un'istituzione come Trapattoni né un uomo misterioso come il "Mago" Herrera: è diverso perché, ad un primo sguardo, non ha nulla di speciale. È normale e chi lo è all'Inter rischia di finire travolto da un pubblico molto esigente in quanto a risultati e, soprattutto, emozioni. Lo dice la Storia. Certo, Inzaghi può ricordare il compianto Gigi Simoni: uomo di fatti più che di parole, pacatezza e poca voglia di cercare la polemica come mind game. Simoni è mancato nel maggio 2020, poco più di un anno prima dello sbarco di Inzaghi a Milano, e forse questa sequenza temporale ha disegnato una similitudine, non solo per l'assonanza tra il cognome di Gigi e il nome di Inzaghi. Quest' ultimo è comunque cambiato rispetto al modo di comunicare che aveva alla Lazio, casa sua da sempre, dunque un contesto protetto in cui poteva permettersi una certa spontaneità: se prima alle volte esagerava nelle lamentele, ora parla sempre in positivo e solo di campo. 

Non ha mai alzato i toni fino al post Toro, ultima gara di fine anno, quando si è tolto qualche sassolino dalle scarpe ma non per questioni personali, bensì a protezione del club: «Ad agosto nessuno diceva che l'Inter era una corazzata», ha dichiarato. La tranquillità di Inzaghi è apprezzata dal mondo Inter un mondo intelligente, che annusa subito le persone - anche perché è rispettosa della (sacra) figura di Marotta. Non c'è invasione di campo e la società, così, dà l'impressione di essere organizzata, solida, virtuosa. Inzaghi ha poi dimostrato sul campo di essere da Inter, conservando il lavoro di Conte (smontarlo sarebbe stato un autogol, come fece Benitez con Mourinho) e costruendoci sopra nuove trame, coerenti con i nuovi giocatori. Come se volesse compensare al basso profilo fuori dal campo, Simone durante le partite è, di fatto, un giocatore: segue le azioni fisicamente, con una mimica corporea appassionata ed appassionante, e in questo ricorda molto Conte (non a caso il record di 104 reti nell'anno solare è condiviso: battute le 99 del 1950). 

I risultati fanno il resto: al momento Simone ha il miglior rendimento della storia dell'Inter con 2,24 punti a partita, tra i tecnici con almeno 10 presenze. Precede Leonardo (2,16), la coppia Mancini-Mou (2,12) e Conte (2,11) e, tra gli altri, anche Simoni (2,01), Herrera (1,95) e il Trap (1,88), tutti allenatori che hanno vinto almeno un «titulo». Inzaghi ha conquistato la benedizione del tifo prima di vincere. Non gli resta che entrare nel club dei titolati per sdebitarsi. 

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