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Nigel Mansell, stoccata ai baby della F1: "Patrese era svenuto nell'abitacolo. Oggi Leclerc e gli altri..."

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L’effetto suolo è tornato in F1 dopo più di 40 anni, le vetture sono cambiate: diventate più pesanti, rigide, con tempi più alti rispetto alle monoposto di anno scorso. Vetture che non entusiasmano diversi piloti del Circus, ma sicuramente più affidabili di quelle che negli Anni 80 e 90 guidava Nigel Mansell: “Quelle monoposto restano le più stupefacenti che abbia mai pilotato — ha detto l’inglese in un’intervista a La Gazzetta dello Sport — Non dimenticherò mai un test in Brasile, a Jacarepaguà. Seguivo la Brabham di Patrese che uscì di pista e finì contro il guard-rail: erano così tanti i G che dovevamo sopportare in curva che Riccardo svenne nell’abitacolo. Erano auto incollate per terra, fisicamente dure da guidare, ma ogni tanto ti mollavano, non sapevi cosa poteva capitare. Era un’epoca in cui se avevi coraggio ed eri abbastanza stupido potevi essere molto veloce. Ma anche perdere la vita”.

 

 

Lui, Prost, Senna: allora era una grande F1: “Eravamo forti come i piloti di oggi, ma dovevamo fare qualcosa in più — ha detto il campione del mondo 1992 — Adesso non devono preoccuparsi dell’affidabilità: se non fai un errore la vettura non ti lascia quasi mai a piedi. Noi dovevamo stare attenti a guidare intorno ai problemi, essere veloci nonostante i guai, e fisicamente era molto più dura senza servosterzo: tenere l’auto in curva dipendeva dalla tua forza”. Oggi i vari Leclerc, Verstappen, Hamilton “hanno aiuti dalla telemetria, dai simulatori, hanno 20 o 30 ingegneri che gestiscono parti della monoposto durante la corsa — ha aggiunto l’inglese alla Gazzetta — E poi dovevamo avere una fede assoluta in noi stessi e nella macchina: prima che arrivassero le tragedie del 1994 le piste erano molto più pericolose tra muri, guard-rail e vie di fuga limitate. Se guardo indietro dico che era da potenziali suicidi correre con le reti tenute in piedi da pali di legno all’esterno delle curve”.

 

 

I momenti magici in Ferrari sono “quando ho vinto la mia prima gara con la rossa a Rio nel 1989 contro ogni pronostico — ricorda Mansell — il successo in Ungheria fulminando Senna dopo essere partito 12°, l’anno dopo il testacoda a 300 orari a Imola con Berger che mi ha spinto fuori e io che riparto e faccio segnare il giro veloce della corsa, il sorpasso all’esterno allo stesso Gerhard nel finale del GP del Messico”. Tutto questo, messo insieme, “mostrava ai fan del Cavallino che non smettevo mai di provarci — conclude alla Gazzetta — Ho sempre dato il massimo, ho fatto tutto quanto possibile per le mie abilità anche se poi il risultato non è stato quello voluto”.

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