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Serie A, la classifica spaccata in due: ecco cosa può succedere

Claudio Savelli
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Una giornata non basta per tirare le somme ma è più che sufficiente per delineare uno scenario, sopratutto se scontato. È il caso della serie A, la cui classifica dopo un solo giro di partite è già delineata: sarà divisa in due, otto davanti e dodici dietro separate da un solco superiore ai 6 punti che lo scorso anno dividevano Atalanta (ottava) e Verona (nona)? Si accettano scommesse, intanto il disegno è già visibile in bozza: dieci squadre sono a tre punti e altrettante a zero perché, per la quarta volta nella storia, la prima giornata si è conclusa senza neanche un pareggio (in precedenza nel 1933/34, nel 1934/35 e nel 1971/72). È un segnale di disequilibrio.

 

 


Tra le dieci a tre punti, oltre alle "intruse" Torino e Spezia, ci sono le prime otto classificate dello scorso campionato, senza alcuna eccezione. Non era mai successo che partissero tutte con una vittoria nella gara d'esordio dell'anno successivo. È vero che solo un paio di questi successi (Napoli e Juventus con tre gol di scarto) sono stati agevoli, ma è anche vero che negli altri, seppur a scarto ridotto a uno o due reti, le favorite hanno dimostrato una supremazia tecnica netta. Più di tutte hanno faticato Inter e Fiorentina contro due neopromosse date per spacciate (Lecce e Cremonese), a conferma che la prima gara presenta diverse insidie. Quest' anno, però, non sono state sufficienti, non c'è stata la classica sorpresa agostana. Un motivo ci sarà. 

SORELLE MIGLIORATE Il motivo è che le prime otto sono tutte migliorate mentre le altre sono tutte peggiorate. Le grandi hanno venduto poco (e in alcuni casi piuttosto bene) e hanno comprato discretamente, dunque il loro livello è aumentato. Nemmeno una delle "sorelle" si può dire inferiore ad un anno fa. Le altre dodici invece hanno fatto un deciso passo indietro. Se può non stupire l'occasione colta da Bologna ed Empoli, ad esempio, attente a far cassa con i talenti, è clamorosa la dimissione della terra di mezzo composta da Sassuolo, Torino e Verona: il trittico di squadre dall'undicesimo al nono posto che per gioco e potenzialità avrebbe potuto cercare un salto di qualità e puntare all'Europa ha perso contemporaneamente i migliori giocatori. I neroverdi hanno ceduto Scamacca e sono pronti a liberarsi anche di Raspadori; i granata hanno detto addio a metà formazione titolare tra cui Bremer, Belotti, Mandragora e Brekalo, e ora potrebbero salutare anche capitan Lukic; l'Hellas invece non solo ha salutato Tudor che aveva lavorato nel solco del predecessore, ma ha voluto monetizzare con Caprari e Simeone, fonte di assist e gol (29 gol e 13 assist in coppia) di livello europeo.

 

 


«Probabilmente il gap tra quelle davanti e quelle di centro-media-bassa classifica è aumentato», ha affermato Dionisi, allenatore del Sassuolo, dopo averne incassati tre dalla Juve. L'uomo alla guida di uno dei club che dovrebbe trainare la "seconda" serie A verso la prima alza mestamente bandiera bianca ancor prima di cominciare.

JURIC E MIHAJLOVIC Altri colleghi che condividono la situazione reagiscono in modo diverso, ma la sostanza non cambia: Juric fa capire di essere arrabbiato per l'occasione persa mentre Mihajlovic, che con il suo Bologna al quarto anno (e mezzo) di gestione meriterebbe di giocarsi qualcosa in più che un piazzamento, si limita a dire che l'obiettivo è «fare meglio dell'anno scorso» (13esimo posto a 46 punti). La morale è sempre la stessa: la competitività di un campionato non è data dalle prime ma dalla media che cala se la massa è meno qualitativa dell'anno precedente. Ne consegue che, escludendo gli scontri diretti, ognuna delle sette rappresentanti della serie A in Europa sia chiamata a giocare 24 gare su 38 potenzialmente facili, poco pericolose o in cui potrà rallentare il ritmo e far valere la superiorità tecnica. In un contesto simile è inevitabile che il livello cali anche se, paradossalmente, quello delle grandi è (leggermente) salito.

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