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Gianluca Vialli e le morti tragiche: ecco tutti gli "sport maledetti"

Leonardo Iannacci
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Anche lo sport può uccidere? Sì, la risposta è agghiacciante ma vera. E non ci riferiamo soltanto alle recenti illazioni sui decessi di Vialli o Mihajlovic, scomparsi per differenti forme di tumore, o a quelli di altri giocatori (Borgonovo o Lombardi) stroncati dalla SLA. Patologie che, secondo larvate accuse (di Lotito o Dino Baggio e, ultimamente, di Zeman), potrebbero essere state causate da sostanze dopanti assunte in carriera. Nè alla tanto chiacchierata Fiorentina degli anni ’70 che ha visto e vede tuttora cadere come foglie al vento, in seguito a strane patologie, molti ex giocatori in una lista troppo lunga per non destare perplessità: Beatrice, Saltutti, Ferrante, Sforzi, Mattolini, Longoni, Lombardi, Galdiolo. Il panorama di altre discipline racconta storie di decessi improvvisi durante l’attività sportiva. Discipline estreme al limite della follia sono il free climbing ma anche anche l’heliskiing, che consiste nel lanciarsi con gli sci da un elicottero sulla vetta di una montagna per poi completarne la discesa fuori pista, e il base-jumping, ovvero il lancio da grandi altezze, con o senza tuta alare e un paracadute che si apre solo a pochi metri dal suolo. Nel motorsport, i cimiteri di tutto il mondo sono pieni di lapidi che vanno dalla A di Ascari sino alla S di Ayrton Senna e Simoncelli, fino alla V di Villeneuve. Ma qui un decesso è nell’alea di rischio che un pilota, di auto o di moto, assume quando inizia. Stesso discorso per la motonautica, disciplina dove trovò la morte Didier Pironi, ex pilota della Ferrari in F.1, scomparso in un incidente durante una gara in mare.

SPORT DI CONTATTO
Letali per l’incolumità degli atleti sono discipline come il football americano, la boxe e tutti gli sport di contatto. Ma anche il ciclismo, il basket e l’atletica, da quando abbonda il doping. Improvvisa e sospetta fu la morte nel sonno, a soli 38 anni, di Florence Griffith-Joyner, velocista statunitense dai muscoli misteriosamente gonfiati e dalle unghie simili a coltelli. Questa culturista venduta all’atletica vinse l'oro alle Olimpiadi di Seul 1988, poi volò in cielo.
Dossier ciclismo: pochi giorni fa il 40enne Lieuwe Westra, gregario di Nibali durante il trionfale Tour de France 2014, è stato trovato morto in circostanze misteriose. Ultimamente aveva ammesso di essere schiavo del doping che l’aveva portato a disturbi mentali e a forti depressioni. La mente è andata ad altre decessi celebri, come quella del belga Frank Vandenbroucke: il 12 ottobre 2009 viene ritrovato esanime a 34 anni in una camera d’albergo. L’inglese Tommy Simpson morì in corsa durante la scalata del Mont Ventoux del Tour 1968. Si accasciò al suolo. La causa? Un’embolia polmonare figlia del doping. Tacendo su Marco Pantani, del quale sappiamo tutto e niente riguardo alla scomparsa, è lunga la lista dei ciclisti morti in gara ma per incidenti fatali: ricordiamo l’italiano Fabio Casartelli che, dopo l’oro vinto alle Olimpiadi di Barcellona 1992, perse la vita lungo la discesa del Colle di Porte d’Aspet affrontata a velocità folle durante il Tour de France 1995. Fausto Coppie Gino Bartali, pochi lo sanno, furono accomunati da un tragico destino: Giulio Bartali e Serse Coppi, i loro fratelli anch’essi ciclisti, perirono in seguito a due incidenti simili in gara. Serse, che aveva vinto da poco una Roubaix, si fracassò la testa durante una caduta in una Milano-Torino Atleti controllati da èquipe di medici di livello ma esposti alla falce del destino sono periti su un campo da calcio. Una delle esperienze più tragiche resta quella di Renato Curi mentre si giocava Perugia-Juventus, il 30 ottobre 1977. Il centrocampista della squadra umbra morì mentre inseguiva un pallone, stroncato da un arresto cardiaco.

MALATTIE EREDITARIE
Aveva 24 anni. Piermario Morosini morì durante un Pescara-Livorno: una malattia ereditaria, la cardiomiopatia aritmogena lo fulminò sul prato verde. Venne aperta un’inchiesta per il mancato uso del defibrillatore in campo. Prima di un Udinese-Fiorentina la stessa patologia ha portato via, ma in una camera d’albergo, Davide Astori. Anche il basket piange campioni del calibro di Luciano Vendemini, 25enne pivot dell’Italia anni ’70, il cui cuore ha ceduto prima della partita Forlì-Torino a causa di una una malformazione cardiaca congenita aggravata dagli sforzi sostenuti in campo. Più sottile la scomparsa di Davide Ancilotto avvenuta nel 1997 durante Virtus Roma-Nancy: il ragazzo 23enne si accasciò in seguito a un’ischemia e morì otto giorni dopo. Alla vigilia del partita Ancilotto aveva accusato una strana cefalea. Lo sport di squadra che negli ultimi tempi ha registrato più vittime è stato il football americano: una disciplina dura, cruenta nella quale i contatti sono violenti e a poco servono le protezioni e i caschi indossati dagli atleti. I microtraumi al cervello durante le azioni di gioco hanno portato alla morte di molti campioni o indotto, causa depressioni dovute a questi disturbi, addirittura al suicidio. È il caso di Junior Seau, linebacker dei Miami Dolphins e poi dei New England Patriots: al limite della sofferenza fisica per dolori lancinanti alla testa, si sparò un colpo di pistola al petto. Darryl Stungley, asso dei Patriots, interruppe bruscamente la pre-stagione 1978 per una lesione spinale durante uno scontro di gioco. Morì, dopo aver vissuto anni su una sedia a rotelle, a 57 anni.

QUESTIONE BOXE
Ne aveva 27 Korey Stringer, campione dei Minnesota Vikings, quando spirò durante un drammatico training-camp con il sole a picco: gli scoppiò il cervello. Mike Webster, asso dei Pittsburgh Steelers alla cui guida vinse 4 Superbowl, morì per un’encefalopatia traumatica cronica dovuta ai ripetuti colpi alla testa, malattia poi denominata CTE, caratteristica anche di sport quali il pugilato. La boxe, già. Impossibile dimenticare la tragica fine del peso medio e campione italiano Angelo Jacopucci, 30 anni, durante un match valevole per il mondiale 1978 morì per edema cerebrale. Spirò due giorni dopo il ko alla 12esima ripresa subìto contro l'inglese Alan Minter. Il grande Muhammed Alì, come dimenticarlo, visse gli ultimi 30 anni della sua vita in preda al Morbo di Parkinson causato dalle tremende botte alla testa. Persino la scherma annovera morti assurde: nella gara dei mondiali 1982 il campione olimpico sovietico di fioretto, Vladimir Smirnov, perse la vita durante un assalto contro il tedesco Mathias Behr. Un affondo di Behr fu fatale: la lama, trafiggendolamascheradelpovero Smirnov, si infilò nell’occhio sinistro. Il russo morì dopo dieci giorni di coma. Sembrerebbero sport insospettabili il tiro con l’arco o il tiro a segno ma la frequentazione alle Olimpiadi tramandano sussurri sul doping utilizzato dai tiratori, adusi ad assumere betabloccanti. Ovvero sostanze che servono ad abbassare al minimo la frequenza cardiaca aumentando così la precisione visto che un piccolo tremore del braccio può fare la differenza. E cambiare i destini di una gara. Ce lo hanno sussurrato più volte esperti di queste discipline ma non abbiamo mai voluto crederci, rabbrividendo al solo pensiero. Che Iddio li perdoni se è tutto vero.

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