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Napoli, brivido-scudetto: partita chiusa? Occhio a questi numeri

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Claudio Savelli
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Il Napoli è uscito dalla Champions League perché è arrivato a giocare i quarti di finale nel momento peggiore della stagione. Nulla di grave né eclatante ma quando sei perfetto anche una piccola flessione diventa evidente e, nel caso della sfida al Milan, pure decisiva. La squadra di Spalletti, quindi, non ha gestito il proprio ritmo per arrivare fresca all'incontro: ha rallentato a prescindere, perché per il resto della stagione ha corso a ritmi insostenibili per tutti. E correre costa fatica, anche quando vinci sempre.  Delle ultime nove gare tra tutte le competizioni ne ha vinte “solo” (per i suoi standard) quattro, meno della metà. Tre dei cinque mancati successi sono sconfitte: due contro il Milan (0-4 in campionato e 1-0 nell'andata di Champions) e una contro la Lazio, seconda forza della serie A (0-1).

Due di questi ko sono arrivati in casa, al Maradona, dove prima nessuno riusciva a sopravvivere: non è un caso ma il riflesso dello strano clima di tensione (tra De Laurentiis e ultras, poi risolta) mista a festa (per il titolo a 33 anni di distanza dall'ultimo) difficile da comprendere, figuriamoci da gestire. Ecco, il Napoli non si è gestito. È semplicemente arrivato stanco a un appuntamento con la sua criptonite, il Milan, che riesce a inibire il gioco di Spalletti. L'emblema della fiacchezza sono i venti minuti finali del Maradona, quando è subentrata una sorta di freno invisibile all'assalto finale. È una fatica prima di tutto mentale, quella del Napoli. Lo dimostra il gioco che è sempre lo stesso ma meno condito da giocate e pensieri brillanti, lucidi, freschi. Poi è anche fisica, come dimostrano gli infortuni piovuti tutti nello stesso periodo dopo mesi in cui erano tutti al massimo della forma: detto di Osimhen che ha recuperato ma non era al 100% nella sfida di ritorno, ora Spalletti dovrà fare a meno di Mario Rui (infrazione al perone destro), Politano (distorsione di primo grado alla caviglia sinistra) e Rrahmani (distorsione alla caviglia destra). Tutti persi in un solo colpo.

L'impressione, poi, è che la città rincuorasse la squadra di fronte alla sconfitta dirottando i pensieri verso lo scudetto. Subito dopo il fischio finale non a caso si è levato al cielo il coro «vinceremo il tricolore»: in pochi credevano veramente alla doppietta e, in ogni caso, per Napoli è più importante lo scudetto. La domanda ora è: vista la stanchezza nella squadra, il titolo è a rischio? La Lazio è lontana 14 punti e sono 8 le partite ancora da giocare, quindi alla capolista bastano 11 punti per avere la certezza matematica. Tre vittorie e due pareggi (o quattro vittorie, per arrotondare) da conquistare contro Juventus, Salernitana, Udinese, Fiorentina, Monza, Inter, Bologna, Sampdoria. Metà di queste squadre dovrebbero essere salve senza patemi, la Samp all'ultima giornata potrebbe essere già retrocessa: di margine ce n'è parecchio. L'uscita dalla Champions per certi verso lo allarga ulteriormente.

Difficile abbatta i giocatori stanchi, semmai toglie loro un ingombro e mette le cose in ordine nella loro testa. Se il campionato (magari anche inconsapevolmente) era passato in secondo piano, ora tornerà a essere la priorità perché è l'unica competizione rimasta da giocare. Certo, bisogna percorrere l'ultimo chilometro correndo e non camminando perché i gufi, ora, si divertono a soffiare contro. Il modo più semplice per evitare psicodrammi è riattivare Kvaratskhelia-Osimhen, la coppia autosufficiente in grado di offrire i gol che prescindono dal gioco, quelli di cui la squadra ha bisogno in questo momento di lieve flessione - non a caso sono solo 3 le reti segnate nelle ultime 5 partite, di cui una è un autogol e una di Di Lorenzo, il terzino. Si parte dalla trasferta in casa della Juventus (domenica sera): dove il Napoli si illuse di vincere uno scudetto (poi “perso in albergo”), ora può cominciare la discesa che porta a vincerlo davvero. 

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