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Bonucci ora può spennare la Juventus: come può finire la sua (giusta) guerra

Claudio Savelli
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Su queste pagine, Leonardo Bonucci è stato criticato più volte per le prestazioni, per l’arroganza, per l’antisportività, per i privilegi che gli sono stati concessi (soprattutto in Nazionale). Ma stavolta a meritare una critica è la Juventus che sta trattando Bonucci come Bonucci spesso trattava avversari e arbitri: male. Il difensore è stato messo fuori rosa nonostante abbia ancora un annodi contratto. Un contratto che ha proposto la Juve, mica se l’è firmato da solo. Valeva la pena sopportarlo visto che Bonucci aveva già annunciato che sarebbe stata l’ultima stagione prima di ritirarsi. La Juve avrebbe potuto accompagnarlo al tramonto, ringraziandolo per tredici stagioni con la maglia bianconera, di cui undici terminate con almeno un trofeo, anche senza farlo mai giocare. Patti chiari, amicizia lunga: ti alleni con il gruppo ma non sei più capitano (la fascia è passata a Danilo), stai in tribuna e a giugno ci salutiamo. Invece ha preferito metterlo alla porta, in una stanza separata accessibile ad orari diversi rispetto ai compagni. All’amichevole in famiglia di qualche giorno fa, Bonucci si è recato in autonomia, strappando il permesso per sedersi in tribuna come semplice spettatore.

GESTIONE DISCUTIBILE
La volontà di chiudere il rapporto è sacrosanta per il club, ma si poteva gestire meglio. La Juve avrebbe potuto discutere la possibilità di svincolarlo, anche pagando una buonuscita, ché tanto se resta anche come emarginato avrà diritto ad incassare tutto lo stipendio. Avrebbe potuto convincerlo alla cessione e non sarebbe stato nemmeno così difficile: c’è l’Europeo all’orizzonte e l’idea di Bonucci era chiudere con quello, ma non ci arriverà (a meno di insensata grazia di Mancini) senza toccare il campo per un anno intero. Vuol dire che non ha avuto gli argomenti giusti, o che non ha nemmeno provato ad averli. Più di una motivazione ha guidato la società in una decisione così drastica. Nell’anno zero, dopo un biennio (in realtà, un quadriennio) di transizione, si è preferito eliminare l’ultimo rappresentante del passato. La proprietà Exor ha dato mandato alla nuova dirigenza bianconera di tagliare i ponti con la reggenza Agnelli per gli arcinoti motivi, e Bonucci era il volto in campo di questo passato.

L’altro chi è? Allegri, ed ecco il paradosso: per coerenza, anche il mister avrebbe dovuto fare la stessa fine, ma il ricco contratto ancora in vigore per due anni non l’ha permesso. Dovendo tenere Allegri, la nuova dirigenza ha escluso la sua nemesi. In più c’è il contratto da 6,5 milioni netti all’anno che - a ragione - è ritenuto eccessivo per un 36enne dall’ormai basso rendimento. Ma - ripetiamo - quel contratto gliel’ha fatto la Juve, seppur quella precedente. L’errore è del club, non del giocatore. Il peggio era inevitabile ed è arrivato: il legale dell’ormai ex capitano bianconero ha diffidato il club tramite una pec. Alla richiesta di reintegro in rosa, la società ha risposto rapidamente negativo. E ha sottolineato di aver messo a disposizione tutte le attrezzature, gli spazi e le competenze per permettere al giocatore di allenarsi in modo professionale, al pari di altri calciatori. Solo che Bonucci è l’unico ad essersi finora ribellato.

La mossa è strategica e serve al difensore per certificare la situazione prima di procedere con un’istanza al Collegio Arbitrale: Bonucci chiederà un indennizzo da 2 milioni di euro, calcolato sulla base del suo stipendio in rapporto a quanto scritto nell’accordo collettivo dei calciatori di Serie A, e potrebbe ottenere lo svincolo. Ma la stagione sarà iniziata e a quel punto non esisterà squadra di alto livello disposta ad ingaggiarlo. Bonucci ha ragione nel fare la guerra, ma per vincerla dovrebbe rendersi conto di avere anche lui qualche colpa: avrebbe potuto considerare la cessione, valutando le proposte che Giuntoli gli ha illustrato. Non lo ha fatto e questo la dice lunga sulla sua capacità di mettersi davvero in gioco, dietro alle frasi fatti sui social. Ma dalla Juventus era lecito aspettarsi quantomeno un tentativo di dialogo con una bandiera che, simpatica o antipatica che sia, rappresenta un pezzo di storia del club.

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