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Milan, cosa c'è dietro la rinascita di Pioli e Leao: le indiscrezioni

Claudio Savelli
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Il Milan torna a funzionare nel momento in cui si arrabbia. Non un caso ma la conferma che il problema principale di questa squadra era la distribuzione delle responsabilità in un gruppo, da questo punto di vista, nuovo. L’addio in contemporanea di Ibrahimovic e di Paolo Maldini ha infatti lasciato un vuoto di potere che qualcuno doveva colmare. Quel qualcuno, secondo la proprietà, era Stefano Pioli, non più solo allenatore ma anche manager, tanto da essere entrato pesantemente nelle scelte della dirigenza sul mercato. Ma Pioli ha coperto una parte di vuoto lasciato da Maldini, incaricandosi di parlare ai tifosi più di quanto non facesse già: l’addio di Ibra, finora, non era stato compensato anche perché il gruppo di calciatori è stato rinnovato con un mercato profondo e non sono arrivati leader fatti e finiti, quindi gli equilibri che sono stati dati per scontati a inizio stagione in realtà erano ancora da trovare.

I calciatori si sono un po’ illusi che le responsabilità fossero cadute tutte sul mister. È una cosa evidente in Leao al quale, tra rinnovo e maglia numero dieci, è stato chiesto di più in termini di aiuto alla squadra, ma prima del Psg questo di più non era arrivato.

 

PRESUNTI LEADER
Ma vale anche per Tomori, Maignan e Theo, gli altri tre presunti leader - Giroud è un’eccezione, nella giovane formazione del Milan, priva di altri trentenni chiamati ad affiancare Calabria. Come mai la risposta è arrivata contro il Psg? Perché Pioli ha potuto schierare tutti i titolari insieme dopo un periodo di infortuni a catena, esponendoli ai loro doveri. Inoltre il pubblico del Meazza, dopo i corretti fischi post-Udinese, è stato positivo, entusiasmante, coinvolgente, dunque i calciatori si sono sentiti in debito.

Il Milan ha trasformato la rabbia in agonismo, e quest’ultimo è l’unico ingrediente fondamentale per la ricetta di Pioli. Nel calcio del mister non può mancare, altrimenti crolla tutto il castello tattico. Infatti il Milan quest’anno ha provato a modificare se stesso, passando da squadra di transizioni (4-2-3-1) a squadra di possesso (4-3-3), ma è presto emerso che non è nella sua natura.

Infatti nella magica notte del Meazza, Pioli, perla prima volta in stagione, è tornato al vecchio modulo e alle antiche richieste- meno tocchi, zero interesse verso il consolidamento del possesso (si è fermato appena sopra il 30% contro i parigini), alternanza di difesa attiva a momento di difesa posizionale e attacchi diretti, a folate, mai avvolgenti - e ha ritrovato il Milan.

 

Pioli ha pensato di aver cambiato il Milan in estate con l’acquisto di Reijnders, ad esempio, e l’inserimento di un regista nella formazione, ma l’olandese è un ottimo conduttore di palla (e di energia) e il regista, in realtà, è sempre stato adattato (o Krunic o Adli, ma lo sarebbe stato anche Bennacer) senza grandi risultati. Anche Musah è un ottimo mediano, più che una mezzala. Il ritorno al 4-2-3-1 è stato sicuramente dettato dal 4-3-3 del Psg e dalla volontà di creare un uomo-contro-uomo in mediana, ma ha dato i suoi frutti subito perché ha rimesso i centrocampisti rossoneri ai loro posti naturali.

AI TEMPI DI KESSIE
La prova del nove è la prestazione di Loftus-Cheek, dominante sulla trequarti, come ai vecchi tempi di Kessie con cui Pioli, di fatto, vinse uno scudetto. Naturalmente è tutto inutile senza la rabbia agonistica di cui sopra. È quella ad aver rivitalizzato il Milan. Era arrabbiato Pioli e si è visto al triplice fischio: non ha esultato, anzi ha addirittura respinto i festeggiamenti dei suoi collaboratori con un perentorio «Lasciatemi stare» per poi abbracciare uno ad uno i suoi calciatori. La scena è davvero particolare. Conferma che Pioli si è incaricato di un lavoro di comunicazione che va oltre il perimetro di un allenatore, una cosa di sicuro sfiancante. 

E certifica che il problema, nella crisi di risultati delle precedenti settimane, non era di certo il suo rapporto con i giocatori, se è vero che i suoi abbracci sono stati ricambiati con affetto. Era arrabbiato anche Leao. Dopo il gol, il portoghese ha portato l’indice davanti alla bocca in segno polemico nei confronti dei suoi stessi tifosi e di tutta la critica. Per uno come lui, sempre sorridente ai limiti del sarcasmo, una reazione seria, rabbiosa e contrariata è un avvenimento, e la migliore notizia per il Milan. Tutti coloro che criticavano a Leao una mancanza di interesse verso le proprie prestazioni e una sorta di apatia emozionale, ora devono ricredersi. Questa rabbia è la linfa vitale del Milan. Il punto, ora, è capire come diluirla lungo tutta la stagione e in partite meno affascinanti rispetto a quella contro il Psg in Champions. Il Lecce (sabato), da questo punto di vista, è un test perfetto.

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