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Luciano Spalletti, convivere con la paura: tutta la verità sul Ct

Claudio Savelli
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Questa Italia non è perfetta ma, a differenza di quella precedente, ne è consapevole. In alcune situazioni si fa trovare disordinata, tende ad allungarsi e allargarsi, tra gli uomini ci sono spazi ampi in cui gli avversari riescono a inserirsi, e manca un uomo capace di riempire l’area su tutti quei deliziosi cross radenti. Ci sono anche tante cose buone a livello tattico- la capacità di strappare di Chiesa, gli inserimenti di Frattesi, gli interscambi tra Barella e Dimarco, la cura negli uno contro uno difensivi di Di Lorenzo - ma le migliori qualità di questa Italia, per ora, sono mentali. E meno male: la tattica, sia individuale sia collettiva, si allena, si migliora, basta averne tempo, mentre la mentalità è più difficile da plasmare. Spalletti ci è già riuscito.

In pochi mesi ha trasferito un modo di approcciare e interpretare le partite complesse diverso rispetto alla gestione precedente. Migliore, senza dubbio. Ci si dimentica che l’Italia di Mancini ha vissuto due cicli e nel primo, terminato con la vittoria dell’Europeo, non ha mai giocato partite ad alta tensione dove aveva tutto da perdere. Fu certamente un merito, quella squadra volò sulle ali del gioco e di un nuovo entusiasmo per esso, ma non si allenò per gare in cui la pressione è tremenda. Infatti, non appena arrivarono le due con la Svizzera e quella contro la Macedonia ai playoff mondiali -, le fallì tutte. Tutte. Si scoprì remissiva, impaurita, fragile. Perché l’unica arma che aveva era il gioco che, nelle serate ad alta tensione, non trovava. E, per questo, impazziva. Non avendo altri appigli e essendo incapace di convivere con la sofferenza, scivolava nel panico e finiva per farsi schiacciare dal terrore.

 



Ecco, questa Italia gioca una partita in cui potrebbe pareggiare come se la vittoria fosse necessaria. Accetta un quarto d’ora abbondante di spinta dell’Ucraina, respingendo i colpi anche senza essere particolarmente ordinata, e un risultato in bilico fino alla fine. Si prende i suoi momenti per riemergere e attaccare, senza preoccuparsi troppo degli spazi alle sue spalle e confermando che la paura non abita in lei. Se l’Italia di Mancini schivava le emozioni negative, l’Italia di Spalletti ci convive. Il ct lo ha dichiarato ma alle parole sono seguiti i fatti. Ed è bello vedere una squadra che se ne frega di essere disordinata, imperfetta, incompiuta. 

E che è consapevole di doversi sottoporre ad una partita simile ad una seduta di psicoterapia, utile solo se accetti il dolore e arrivi fino in fondo. È bello anche vedere un allenatore che non ha paura di rinunciare ai suoi pupilli, come Raspadori, se necessario. Che vede e provvede senza essere condizionato. È il caso di Spalletti che, dopo aver visto mille cross radenti in un’area vuota, la riempie con Scamacca. E si danna l’anima per scuotere quest’ultimo, entrato con la timidezza che nessuno dei compagni mostra. L’Italia che si qualifica agli Europei ha ancora tanti difetti ma a) può solo migliorare e b) non si può non volerle bene. 

 

 

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