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Juve-Inter nel nome di Luciano Spalletti: chi scenderà in campo domenica

Claudio Savelli
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Quasi metà dei giocatori impegnati nel derby d'Italia domenica saranno italiani. Come minimo. Sia la Juventus sia l’Inter ne schiereranno almeno quattro titolari Rugani, Gatti, Chiesa e Cambiaso da una parte, Darmian, Acerbi, Dimarco e Barella dall’altra - e si potrebbe arrotondare il totale con Kean che contende la maglia a Vlahovic, Nicolussi-Caviglia in regia e Frattesi che è sempre un valido candidato a sorpresa. E pensare che sarà assente Bastoni e che Locatelli e Miretti potrebbero non recuperare in tempo, altrimenti sarebbero stati tranquillamente più di metà.

Non è un caso che il derby degli italiani valga una porzione di scudetto, ma è la conferma che avere un blocco di giocatori nostrani porta punti. Cinque anni fa, con Allegri al tramonto del primo ciclo a Torino e Spalletti a guidare l’Inter, gli italiani in campo erano cinque. In tutto. Dieci anni fa erano quattro: la Juve (di Conte) aveva il blocco difensivo Barzagli-Bonucci-Chiellini più il portiere Storari, l’Inter (di Mazzarri), in piena crisi di identità, nessuno. Come volevasi dimostrare.

 

 

 

VALORE AGGIUNTO

Nei giorni scorsi Marotta ha ripetuto per l’ennesima volta che, a suo parere, avere un blocco di italiani in rosa è un valore aggiunto. L’Inter, quindi, ce l’ha per scelta. Lo sta costruendo pian piano, aggiungendo almeno un talento nostrano ogni estate. L’ultimo è stato Frattesi. Come in tutte le cose della vita, serve misura. La ricerca di italiani non deve essere un’ossessione che preclude altri campioni, ma vale la pena averla come linea guida, anche in quanto a rinnovi. Con Barella, la dirigenza ha avviato le trattative per il prolungamento di contratto fino al 2028 con ritocco dell’ingaggio (da 5 a 6 milioni): il ruolo da vice-capitano non basta, l’Inter vuole farne un simbolo generazionale. Vale lo stesso per Dimarco (scadenza dal 2026 al 2028, ingaggio da 1,8 a 4 milioni) che, oltre a essere italiano, è milanese e interista dalla nascita. A Bastoni e a Darmian il contratto è stato rinnovato lo scorso anno mentre Acerbi è stato riscattato senza indugi, nonostante i 35 anni, perché ha portato quel che ci si aspetta da un abitudinario della serie A: conoscenze, rendimento e leadership. Sono tutte virtù che si possono creare anche negli stranieri, vedi Lautaro e Calhanoglu, ma la presenza di un buon numero di italiani in rosa accelera la crescita di chi in Italia si sente a casa.

La Juventus dei nove scudetti consecutivi è stata una prova dell’efficacia di un nucleo italiano. Quando questo nucleo si è disgregato, è velocemente terminato il ciclo. Ricostruirlo non è facile, servono giocatori di livello e il mercato degli italiani non ne offre molti. E, quei pochi, costano magari qualcosa in più rispetto agli stranieri. La precedente dirigenza, che paradossalmente con gli italiani ha vinto per un decennio, aveva a disposizione il budget per acquistare gli eredi, ma ha preferito usarlo per campioni di altri mondi.

 

TENDENZA INVERTITA

Giuntoli e Allegri hanno deciso di invertire la tendenza. La permanenza di Chiesa e l’attesa di un suo rientro a pieno regime sono stati i punti di partenza. Seguono il rinnovo di Locatelli, la fiducia concessa a Gatti, la promozione di Cambiaso al rientro dal prestito, il rilancio di Kean, che nelle ultime settimane è stato preferito a Vlahovic, e l’inattesa redenzione di Rugani. Sono i tasselli di una Juve che, per costruirsi un buon futuro, guarda al passato. Ora quasi metà della rosa bianconera è italiana. Il 47%, per l’esattezza. L’Inter si ferma al 36% ma è la prima fonte da cui attinge il ct Spalletti. Se il derby d’Italia torna a valere il tricolore, è anche perché l’azzurro ne è la tinta principale. 

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