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Luciano Spalletti, "via le cuffie": Italia, chi rischia di restare fuori

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"Fatica e meno cuffie, solo così l'Italia vince". L'intervista di Luciano Spalletti sul Corriere della Sera, in un faccia a faccia fiume con Walter Veltroni, gira intorno a una critica feroce alle nuove generazioni del calcio. Secondo il ct della Nazionale, il rischio maggiore per il nostro movimento è quello di avere giovani talenti senza mordente né passione. E senza la forza necessaria per "sporcarsi" per scrivere il proprio destino.

"I giovani calciatori sembrano avere meno fame, hanno troppe sicurezze - spiega l'ex allenatore di Roma, Zenit, Inter e Napoli, con cui pochi mesi fa ha vinto il suo primo scudetto italiano in carriera - . La loro formazione avviene su campi perfetti, con l'erba sintetica e le docce calde. Maradona, i filmati ce lo raccontano, si rotolava con il pallone in campi che sembravano acquitrini. C'era sofferenza, fatica, una innata cultura della sfida e del miglioramento". "I panni, dopo l'allenamento, vanno lavati, devono essere ben sporchi. I ragazzi oggi mettono il loro musino in ogni banalità. Si aspettano che tutto sia dovuto, sembrano avere poca voglia di sacrifici.

 

 

 

"I ragazzi da un po' di tempo sono 'Tutto e subito, altrimenti non è colpa mia'. Non ho timore a dire che in ogni campo e in ogni momento della formazione — un genitore, un insegnante, un allenatore — c'è bisogno di qualcuno che li aiuti a distinguere tra mondo reale e mondo virtuale, che gli faccia respirare la carnalità, la corporeità delle paure, degli incontri, delle possibilità. È questo il modo di proteggerli e di spronarli. Hanno bisogno di dolce autorevolezza. La prima volta che sono entrato nello spogliatoio della Nazionale li ho fatti alzare in piedi e insieme abbiamo cantato l'inno d'Italia e ora abbiamo anche definito un grido di incitamento e motivazione che ci serve per sentirci uniti, vicini".

 

 

 

La qualificazione, sofferta, agli Europei del 2024 è solo il primo passo di un lungo cammino. "Vorrei tornasse la Nazionale di tutti e che tutti gli italiani le volessero bene. Per me la maglia della Nazionale è quanto di più alto ci possa essere in uno sport ma allo stesso tempo anche quella che più resta vicina al calcio di strada. La proposta di Gravina mi ha reso un uomo felice e orgoglioso anche se ho sentito il peso enorme della responsabilità trattandosi della maglia azzurra di tutti gli italiani".

 

 

 

"Le mie scelte saranno tecniche e anche morali. Vorrò intorno a me ragazzi che ci credono, che vivano con me il morso della responsabilità, ragazzi che conoscano a memoria la storia di questa Nazionale dimostrandomi di voler entrare in quella storia, di volerci provare fino in fondo. Sarò sempre assillato dal bene della nostra Nazionale e, chi vorrà dimostrarmi di voler mettere il proprio talento al servizio della Nazionale, saprà che io sarò ai suoi piedi. Noi dobbiamo restituire all'Italia il bene che ci vuole. Far gioire un Paese intero, che si unisce e dimentica le appartenenze che separano. La maglia azzurra va desiderata prima e onorata poi come un oggetto sacro".

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