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Jannik Sinner "figlio" del Covid: il ruolo della pandemia dietro la nascita di un campione

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Dopo il trionfo, dolcissimo, agli Australian Open, dopo la vittoria leggendaria di Jannik Sinner in rimonta su Daniil Medvedev, è il tempo delle celebrazioni e delle analisi. Sotto i riflettori, ovviamente, il ragazzo di San Candido, il fenomeno del tennis azzurro. E su Jannik si spende in un'interessante riflessione Gianfranco Coppola, presidente Ussi (Unione stampa sportiva italiana). E lo fa sul suo blog personale

Lo spunto di Coppola è che Sinner sia... figlio del Covid. Scrive infatti: "È paradossalmente il campione figlio della pandemia, con l’altro super talento emergente Alcaraz, peraltro carinissimo nel plaudire Jannick postando complimenti di cuore. Il rosso sbucato dal Covid è l’eroe nazionale. Il ragazzo che si fa amare".

Già, perché durante i momenti più duri del Covid, l'unico sport che in un qualche modo si poteva praticare era il tennis: la disciplina, infatti, non prevede contatti tra i giocatori. "E così - riprende Coppola - hi doveva costruire una carriera ha potuto allenarsi. Certo, il blocco ai tornei importanti con Sinner che era già tra i primi 100 al mondo ha impedito confronti importanti e forse la rapida crescita dal punto di vista della capacità di gestire la tensione. In quel tempo, per usare una forma biblica, Carlos Alcaraz era nella fascia B cioè giocava in tornei di minore importanza con montepremi inferiore. Ma anche lui è figlio della prigionia del Covid, o pensando al tennis campione cresciuto in un clima di libertà vigilata", ricorda.

 

E ancora, si ricorda come tecnici e addetti ai lavori hanno una granitica convinzione: "C'è una sola generazione non totalmente perduta causa virus: quella dei tennisti. In ogni altra disciplina lo stop ad ogni attività competitiva o comunque la scarsa possibilità di allenarsi in gruppo ha condizionato carriere forse destinate al successo". Uno spunto su cui riflettere.

 

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