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Mile Svilar, da reietto a salvatore della Roma: chi è "il portiere che non c'era"

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Gabriele Galluccio
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Mile Svilar è il simbolo della Roma di De Rossi, nonché l’elemento di rottura con Mourinho, che lo ha inspiegabilmente snobbato per due anni e mezzo. Finalmente c’è un portiere tra i pali giallorossi: il regno di Rui “Pasticcio” - come lo avevano soprannominato i tifosi - è giunto al termine.

Chissà cosa sarebbe successo se De Rossi avesse avuto il coraggio di far accomodare in panchina il portoghese già contro l’Inter, nell’unica sconfitta subita da quando ha preso il posto di Mou. Una partita che è stata l’essenza dell’esperienza giallorossa di Rui Patricio: mezza papera sul primo gol nerazzurro e mai una volta che abbia trasmesso tranquillità.

E così è arrivato il turno di Svilar, che di certo non era sbarcato nella Capitale con la nomea di una “pippa”: anzi, a 18 anni era stato il più giovane portiere di sempre a parare un rigore in Champions (con il Benfica contro il Manchester United). Coraggio e talento non mancano al serbo, ormai 24enne e pronto a fare il titolare alla Roma, che aveva bisogno come l’aria di un portiere capace di garantire ai compagni di non subire gol praticamente a ogni pallone calciato nella sua direazione. Anzi, nelle ultime tre partite da titolare Svilar ha persino “esagerato”: impeccabile all’andata con il Feyenoord, migliore in campo a Frosinone (ha salvato almeno un paio di gol nel primo tempo) ed eroe al ritorno del playoff di Europa League, con ben due rigori parati.

 

IL SEGRETO
Il segreto? Lo si può leggere tra le righe in una dichiarazione rilasciata nel post-partita: «Non sono io a dover sentire la pressione». Parole che offrono uno scorcio del Mile pensiero, con il serbo che si è presentato tra i pali con la consapevolezza di avere il coltello dalla parte del manico, visto che la pressione maggiore era sulle spalle dei tiratori. Con grande freddezza ha parato due rigori praticamente fotocopia e ne ha pure sfiorato un terzo, calciato sempre dallo stesso lato. Quella dell’Olimpico è una serata che consegna Svilar alla storia romanista, che ogni tanto sfugge alla logica del “mai una gioia” - pensate che i giallorossi non vincevano ai rigori dal 2002, in una partita di Coppa Italia con la Triestina - e riesce a trarre il massimo della felicità da momenti che per altri club sarebbero ordinari, quasi irrilevanti. 

 

D’altronde che sarà mai un successo ai playoff di Europa League? Chiedetelo ai tifosi giallorossi, che per un po’ di tempo si crogioleranno nelle gesta di Svilar contro l’odiato Feyenoord, con il quale si è venuto a creare una rivalità un po’ balorda ma divertente. Smaltita la sbornia europea, la Roma tornerà in campo lunedì contro il Torino, dopodiché sarà in scena a Monza prima dell’andata con il Brighton. Due partite di campionato importanti per rimanere a contatto con la zona Champions e continuare a migliorare sotto la guida di De Rossi. L’ex capitan futuro si sta rivelando un ottimo allenatore, moderno ma non estremo, umile ma non retorico: il suo lavoro è evidentemente rispettato dalla squadra, rigenerata pure nello spirito dopo essere rimasta schiacciata dalla pesantezza dell’ultimo Mourinho. De Rossi ha sconfessato totalmente il lavoro del portoghese e finora ha avuto ragione: ha rimesso Pellegrini al centro del gioco, venendo premiato da gol e assist a profusione, ha restituito a El Shaarawy e Zalewski i loro veri ruoli e premiato il merito affidando la porta a Svilar. Ora gli restano giusto un paio di cose da fare, per nulla banali: trovare la coppia tito lare in difesa (Ndicka promette bene, mentre Llorente è inaddifabile da centrale, Huijsen è inesperto e Mancini è... Mancini) e pretendere una rea zione da Lukaku, il più pagato della rosa eppure ultimamente il peggiore in campo.

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