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Serie A Nord, solo 5 club del Centro-Sud: l'egemonia è lombarda

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Claudio Savelli
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La nuova serie A è un campionato interregionale con qualche invitata d’eccezione. Per tre quarti si gioca al nord. Quindici squadre su 20 hanno sede da Firenze ed Empoli in su, solo cinque sono geograficamente sotto: Roma, Lazio, Napoli, Lecce e Cagliari. Dire che la serie A è una rappresentazione fedele del calcio italiano è sbagliato, lo è del meglio e il meglio è sempre più a nord. Basta guardare le neopromosse rispetto alle retrocesse per averne conferma: salgono Parma, Como e Venezia, quindi una in più per l’Emilia-Romagna, la Lombardia e il Veneto che già erano rappresentate; scendono Sassuolo, Frosinone e Salernitana, e queste ultime due privano il Lazio e la Campania di preziose rappresentanti provinciali in supporto alle grandi Roma e Lazio e Napoli. Da notare anche la concentrazione anomala, o forse no, delle squadre in Lombardia. Sono cinque, un quarto del totale, e con la Cremonese che ha sfiorato l’impresa potevano essere sei come nella stagione record 1951/52.

Il motivo dello sbilanciamento è che la provincia che ce la fa si è spostata al nord. Perché è la provincia a fare il campionato di serie A ed è al nord che stanno investendo gli stranieri. Il Parma è dell’americano Krause dal 2020, stesso anno in cui il Venezia è passato da Tacopina a Niederauer, mentre il Como dal 2019 è di una controllata della ricchissima famiglia indonesiana Hartono, ma coinvolge anche investitori minori (stranieri) come mister Fabregas e Henry. La promozione è arrivata quattro o cinque anni dopo l’acquisto, ecco l’orizzonte temporale con cui ragionano gli stranieri. Non all’italiana, cioè volendo tutto subito e spendendo nella rosa (per poi collassare alla prima retrocessione), ma all’americana, cioè studiando, programmando, investendo non solo nella rosa ma anche nelle altre voci di guadagno di un’azienda, quali merchandising, stadio, esperienze. In una parola: tifosi. Gli stranieri hanno intuito prima di noi che un club è espressione del popolo, non della proprietà. Bisognerebbe prendere nota e imparare visto che metà della nuova serie A ha proprietà estere.

 

Per bilanciare bisogna cominciare a offrire un’immagine migliore del Mezzogiorno, meno presente in A perché meno attraente per gli stranieri. Evidentemente resiste l’idea che la strada per arrivare ai guadagni sia più lunga partendo da sud. L’unico caso degno di nota è quello del Palermo, che è anche un’eccezione perché non è di un fondo ma del City Football Group, il gruppo societario che ha il Manchester City come squadra bandiera e che fa capo allo sceicco Mansour di Abu Dhabi. Dunque il Palermo, reduce dai playoff di B, potrà puntare alla serie A il prossimo anno e riportare una rappresentante della Sicilia, patria di grande calcio scomparsa a causa dei numerosi fallimenti delle sue società, non a caso causati da imprenditori italiani dalle vedute ristrette. Il Palermo può farsi portavoce di un grido verso lo straniero: venite a investire nel calcio del sud. I club costano poco, quindi conviene. A patto che si facciano progetti a lungo termine.

Da Roma in giù resistono le proprietà nostrane. C’è la Lazio di Lotito, il Napoli di De Laurentiis, il Lecce di Sticchi Damiani e il Cagliari di Giulini. Investono nel pallone per farsi pubblicità o per acquisire potere o per pura passione, ma nessuno sembra farlo per fare business. Che è la cosa che va fatta, alla faccia dei nostalgici. La visione al sud è ancora antica, quella dell’imprenditore che ce la fa da solo e chiede riconoscenza. Si può migliorare, anche perché i conti (bravi in questi) al sud sono in ordine e i professionisti dentro i club ci sanno fare. Lazio, Napoli e Cagliari possono incrementare la sintonia con il pubblico guardando Lecce. E tutte possono mostrarsi più aperte agli stranieri. Chiudersi non funziona più. Lo dice la serie A che punta a nord.

 

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