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Daniel Maldini su papà Paolo: "Spaccava le cose e dava la colpa a me"

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Il gol alla sua ex squadra, martedì sera, lo ha realizzato per davvero. In faccia a quel presidente, Gerry Cardinale, che ha mandato via in fretta e furia suo papà Paolo Maldini dal ruolo di dirigente, nonostante una vita all’interno del club rossonero. Daniel Maldini guarda avanti e ha iniziato da poco la sua esperienza al Monza come giocatore arrivato a titolo definitivo. E in futuro, in caso di chiamata dal Venezuela, non escluderebbe di giocare con la ‘Vinotinto’: “In Sudamerica ci sono più Daniel che Daniele, e mia mamma è venezuelana — ha detto il trequartista in una intervista alla Repubblica — Ormai però è anche monzese. Non si perde una partita”. 

Daniel ha capito di chiamarsi Maldini “alle elementari — racconta —. I compagni mi chiedevano autografi e maglie di mio padre. Per me fino a quel momento era una persona normale. Era papà”. Il ricordo più affettuoso che ha della sua infanzia sono “i pranzi di famiglia del sabato, vicino casa, al ristorante Novecento in via Ravizza. Nonno Cesare ci teneva a stare a capotavola. Mio padre no, ci si siede dove si vuole”. Mentre suo nonno Cesare “veniva a vedermi alle giovanili del Milan. Succedeva di rado e mi emozionavo”. 

 

Prima dell’aneddoto con suo padre Paolo, con al centro “le partite di calcio in casa — ricorda —. Tutto quello che potevamo rompere a pallonate lo abbiamo rotto. Vasi, lampadari, soprammobili. Ogni volta che papà spaccava qualcosa dava la colpa a noi figli. Partivamo col pallone di cuoio e dopo i primi danni passavamo a quello di spugna, ma il risultato non cambiava”. Nel futuro si vede con “due bambini: un maschio e una femmina” e di sicuro “li metterò a calciare punizioni in casa, a rischio e pericolo di lampade e soprammobili, poi vedremo. Facciano quel che vogliono, purché siano felici. È questa l’eredità che vorrei lasciare”. Il sogno “è di vincere la Champions, stare bene ed essere felice con le persone care”.

 

Tornando al presente, al Monza c’è Alessandro Nesta e non più Raffaele Palladino, che lo ha cresciuto. “Nesta lo conosco da quando ero piccolo, però ricordavo poco di lui come persona — le sue parole —. Sto scoprendo che mi piace davvero tanto. In allenamento si capisce perché è diventato una leggenda del calcio. Ha grandi idee e si vedono in campo. L’obiettivo del Monza? La salvezza, poi si vedrà”. Palladino invece “mi ha aiutato a inserirmi nel gruppo e a trovare fiducia. Sono diventato più forte di testa. Intendo: mentalmente”. E anche con Galliani il rapporto è bellissimo: “Mi stimola e mi aiuta. Mi spinge a mettermi in gioco. Mi manda i video dei miei gol. È una guida. Quello che mi dice per me è importantissimo. Lo chiamo boss. Nessun altro al mondo ha su di me l’influenza che ha lui”.

Fuori dal campo è tornato a vivere a casa dei suoi genitori “ma per un periodo — dice — da tanti anni vivo da solo. Resterò a Milano, non lontano da San Siro”. E segnare al Milan “me lo sentivo, era nell’aria, purtroppo — aggiunge — Sembra destino che io debba segnare proprio alle mie ex squadre. E contro il Milan non sarà mai una partita normale. Nemmeno nel Trofeo Silvio Berlusconi, tanto più perché si gioca in memoria del presidente”. Mentre fare gol all’Inter nello scorso campionato è stata “una figata. Una gran cosa. Una vittoria importante”.

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