Jannik Sinner, lo sfogo di Andrea Carnevale: "Per cosa è stato condannato"

giovedì 7 agosto 2025
Jannik Sinner, lo sfogo di Andrea Carnevale: "Per cosa è stato condannato"

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Andrea Carnevale, oggi responsabile degli osservatori dell’Udinese, è tornato a parlare a La Gazzetta dello Sport di uno dei momenti più amari della sua carriera da calciatore: la squalifica per doping ricevuta nel 1990, poco dopo il trasferimento dal Napoli alla Roma. Un episodio che lo ha segnato e che oggi, a 64 anni, rivede riflesso nella vicenda che ha coinvolto Jannik Sinner. “Che bello arrivare alla Roma, volevo andarci e il presidente Viola mi voleva fortemente — ha ricordato —, Poi però è capitato quell'episodio del doping per una cazzata mia e mi sono preso tutte le responsabilità con la squalifica di un anno. Ho subìto un po' la sorte di Sinner, condannati per uno zero virgola per cento”. 

La sua positività alla fentermina — uno stimolante contenuto in un farmaco dimagrante, il Lipopill — arrivò dopo un inizio di stagione promettente con 4 gol in 5 gare. Carnevale venne fermato dopo la sfida Roma-Bari del 23 settembre 1990, e la squalifica fu pesantissima: 12 mesi lontano dai campi, nonostante la quantità minima rilevata. Il parallelo con Sinner nasce dalla similitudine nelle proporzioni: nel caso del tennista, è stato riscontrato un valore infinitesimale di Clostebol, meno di un miliardesimo di grammo, che ha comunque portato a una sospensione di tre mesi per responsabilità oggettiva. Carnevale a riguardo ha sottolineato l’ingiustizia di certe dinamiche: penalizzazioni pesanti per quantità così trascurabili, che nulla hanno a che fare con il miglioramento della prestazione. Eppure, “anche uno ‘zero virgola’ può cambiare una carriera.

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Intensissimo infine è il racconto che Carnevale fa di suo padre, un ferroviere di nome Gaetano che soffriva di schizofrenia. Il 25 settembre di 50 anni fa uccise sua moglie, mamma di Andrea e altri sei figli, Filomena Pietricola, a colpi d'ascia. Nonostante l’accaduto, papà Gaetano era stato perdonato: “Andavo sempre a trovarlo in carcere — racconta —. Volevo vedere come stava, se migliorava. In famiglia non si è mai parlato di questo né di mio padre che si suicidò davanti ai miei occhi perché mi aveva aggredito brutalmente. Poteva essere un’altra tragedia se non ci fosse stato mio fratello. Il dolore è stato fortissimo, ma il cuore di più. Ho avuto un padre malato. Parliamo di 50 anni fa, non c’erano i mezzi o la medicina di adesso ma, certo, qualcosa si poteva fare. Le avvisaglie c’erano tutte le sere".

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