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Luciana Lamorgese, "colpa del Covid"? Il ministro non sa più cosa dire per coprire il disastro-immigrazione

Mirko Molteni
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Al Forum Ambrosetti di Cernobbio, presso Como, s'è rivisto ieri il duello a parole fra il ministro degli Interni Luciana Lamorgese  e il segretario della Lega Matteo Salvini sul nodo dell'immigrazione. La titolare del Viminale, nel suo intervento, ha cercato di distogliere l'attenzione dal problema più concreto, cioè l'aumento esponenziale degli sbarchi, rimarcando invece aspetti, pure importanti, ma più secondari, come la necessità di controlli maggiori a causa della pandemia Covid-19.

 

La Lamorgese ha infatti detto: «Le difficoltà della gestione del fenomeno, secondo me, non sono tanto dettate dalla crescita dei numeri quanto dall'aggravamento delle procedure determinato dalle esigenze di sorveglianza e vigilanza sanitaria dei migranti, sempre osservate». Ha anche ricordato il contesto del Nordafrica: «L'incremento d'arrivo di migranti è il portato della crisi pandemica abbattutasi con violenza anche sui paesi nordafricani e la spinta migratoria è cresciuta per effetto della depressione socio-economica che ha investito alcuni territori come la Libia, la Tunisia, l'Algeria». Insomma, il boom di arrivi sarebbe una conseguenza della malattia. Ma il ministro non può certo sminuire il problema maggiore, che resta l'aumento numerico degli arrivi, una vera valanga, iniziata ben prima del virus. 

 

In questo 2021 non ancora finito è stato registrato lo sbarco in Italia di 39.082 clandestini, quasi 40.000, cioè il doppio rispetto a un anno fa e anche a tre anni fa. Nell'intero 2018 erano stati 20.077 i migranti approdati, poi nel 2019, grazie al rigoroso approccio dell'allora ministro degli Interni Matteo Salvini, erano crollati a 5135, finchè nel 2020, col nuovo governo giallo-rosso, il peggioramento era all'insegna del quadruplo, con 19.339. Nonostante nell'ultimo anno siano raddoppiati, con un incremento del 100% fra 2020 e 2021, che balza addirittura a +700% rispetto all'epoca del leghista agli Interni, i numeri sarebbero per il Viminale un problema minore. 

E così, prendendo la parola dopo la Lamorgese, Salvini l'ha bacchettata: «Se invece di 5000 sono 40.000, è un problema e con la pandemia è un doppio problema. Nel 2019 c'era la crisi libica, solo che in Libia c'eravamo noi, non come ora turchi e russi. Tu devi lavorare a Tunisi non a Lampedusa. In tempo di Covid non sono numeri sostenibili e con la crisi afghana possono passare da 40.000 a 50.000, 60.000». Salvini, insomma, riporta l'ago della bussola versola soluzione più efficace, cioè ostacolare fin dal principio le partenze con accordi di sorveglianza congiunta, aeronavale e di polizia, con i governi magrebini.

 

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