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Ong, la menzogna di Parigi: ecco quanti immigrati ha accolto

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Salvatore Dama
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Ripicca francese. Il ministro dell'Interno Gerald Darmanin annuncia che l'accoglienza della Ocean Viking nel porto di Tolone costerà cara all'Italia. Loro si faranno carico dei 234 migranti che sono a bordo della ong, sì, ma stracceranno l'accordo che prevedeva il ricollocamento di 3.500 richiedenti asilo. In Francia e in Germania. Intanto sarebbe interessante capire a che titolo Darmanin parli anche a nome del governo tedesco. Ma poi le cifre: al momento i migranti trasferiti oltralpe sono 38. Trentotto. Un passo indietro. È il 10 giugno quando il Consiglio europeo dei ministri dell'Interno trova l'accordo su una dichiarazione politica. Viene creato un meccanismo di solidarietà che prevede la redistribuzione volontaria delle persone migranti. Lo firmano 18 Stati membri, tra cui appunto Francia e Germania. Si dà priorità anche agli sbarchi nei porti italiani. E si ipotizza la dislocazione di diecimila stranieri tratti in salvo nelle operazioni Sar nel Mediterraneo centrale e lungo la rotta atlantica occidentale.

L'operazione è sotto l'egida della Commissione europea, con il supporto logistico dell'Agenzia dell'Unione europea per l'asilo (Euaa) e dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), che si fa carico di pagare i biglietti aerei per il trasferimento. Viene creata addirittura una piattaforma on line attraverso la quale gli Stati firmatari possono "prenotarsi" i migranti. Di più: sceglierseli. Facoltà che l'Italia non ha mai avuto, ma va be'. I più "gettonati" sono i richiedenti asilo afgani e siriani, perché profughi veri. Però c'è speranza anche per i migranti economici. Che, per farsi prendere, devono indicare la propria specialità. Se sanno fare qualcosa. Tipo operai, badanti, cuochi, eccetera. Il sottotesto è che all'Italia restano gli scarti. E poi si parla di 10mila ricollocamenti su 90mila arrivi. Pochini. Tuttavia c'è la prospettiva di una embrionale forma di collaborazione europea sul tema dell'immigrazione, dopo anni di porte chiuse.

Piuttosto che niente, meglio piuttosto. Perché l'alternativa è l'applicazione alla lettera del trattato di Dublino. Cioè: il migrante è un problema dello Stato dove sbarca. Si parla di una revisione possibile, ma da qui al 2024. Non oggi. E neanche domani. Insomma, tutto bene. O quasi. Il 28 luglio dei funzionari francesi arrivano in missione al Cara di Bari. Vengono a scegliersi il primo gruppo di migranti. Fanno sul serio. Anche i tedeschi seguono la stessa modalità. E la Lituania e la Romania. L'accordo sembra funzionare. L'allora ministro dell'Interno Luciana Lamorgese è trionfante: «Tappa storica», esulta lisciando i mangiarane: «Un risultato possibile grazie alla presidenza francese» del Consiglio europeo. È il 5 di agosto. Dopo poco si scopre la truffa: l'ordinazione di Emmanuel Macron è un antipastino. Quali 3500, sono 38. In quattro mesi. Con questi ritmi ci sarebbero voluti otto anni per arrivare alla cifra annunciata, ma tanto Parigi ha detto che non li vuole più. Legalmente e illegalmente. Tanto che la gendarmeria già lucida i manganelli al confine con Ventimiglia.

In realtà tutto il meccanismo di solidarietà, quello che aveva fatto alzare la glicemia di Lamorgese, si è rivelato una sòla. L'ennesima. I ricollocati non sono diecimila e neanche mille. Ma appena 117. Solito risultato: l'Italia fregata e la Francia, Stato perculante, che fa pure l'offeso. Per il ministro dell'Interno italiano, Matteo Piantedosi, «la reazione che la Francia sta avendo di fronte alla richiesta di dare accoglienza a 234 migranti - quando l'Italia ne ha accolti 90mila solo quest'anno - è totalmente incomprensibile. Ma dimostra anche quanto la postura delle altre nazioni di fronte all'immigrazione illegale sia ferma e determinata. Quello che non capiamo è in ragione di cosa l'Italia dovrebbe accettare di buon grado qualcosa che gli altri non sono disposti ad accettare». Parafrasando il poeta di Zagarol: sono tutti solidali con il porto degli altri. 

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