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Ong, scatta la censura: cos'è vietato raccontare

Alessandro Gonzato
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Eccoli in azione, i finti buonisti delle Ong in servizio permanente. In mare, durante le tragiche (per i migranti) traversate del Mediterraneo, e ora sulla terraferma. Questi gli inquietanti fatti. Napoli, venerdì sera, "Festival dei diritti umani", e per fortuna. Un drappello di squadristi delle Ong presenti in sala, impossibile qualificarli diversamente, interrompe dopo venti minuti la proiezione del film L'Urlo, del regista Michelangelo Severgnini. Il motivo è presto detto: il film denuncia i metodi delle Ong, il modus operandi troppo spesso criminale, la pellicola riporta le testimonianze di ragazzi nordafricani, «migranti-schiavi in Libia», e sono loro stessi a definirsi tali. Non è una ricostruzione di parte, dunque. È un docu-film. Sono quei poveretti a raccontare l'inferno. Vanno fermati.

 

 


 

AGITATORI - Il caos parte dalle prime file e il Masaniello ha gioco facile ad aizzare i colleghi. I mormorii diventano velocemente grida, poi insulti. La situazione sfugge di mano. Uno degli organizzatori prende il microfono, prova a sedare gli animi, tenta di difendere il regista che nel frattempo rischia di finire vittima del parapiglia. Tenta di spiegare, il malcapitato organizzatore, che non si può bloccare un film così, che il Festival comunque si assume tutta la responsabilità del contenuto e che non è stata un'imboscata di Severgnini. Che chi vuole può uscire, aspettare fuori la fine. Ma boicottare la proiezione no: questo non è civile. Niente da fare. I signori delle Ong ormai spadroneggiano. «Tutto quello che avete visto e sentito sono cazzate», «il regista è andato a farsi ricevere con tutti gli onori dai criminali di Bengasi», «questo è un film degno di CasaPound: venga proiettato lì».

 

 

 

Al "Festival dei diritti umani" gli unici da rispettare sono quelli dei traghettatori dei nordafricani. Chi ha provato a ribellarsi è stato zittito. Qualcuno è stato addirittura minacciato. C'è un video che documenta parte dell'accaduto. Non dall'inizio alla fine, perché - ovviamente - nessuno aveva pensato che le cose potessero andare così. E invece gli squadristi hanno imposto la loro legge, il loro concetto di democrazia. «Il film», dice a Libero Severgnini (nell'intervista sotto approfondisce la vicenda), «è frutto di una ricerca molto accurata, un filo diretto lungo quattro anni con le fonti primarie in Libia, che significa cittadini libici e i migranti-schiavi». La situazione diventa irrecuperabile quando nel film Giacomo Sferlazzo, attivista a Lampedusa, afferma: «Apriamo i confini. Ma per fare che cosa? Per spostare masse di disperati dall'Africa all'Europa? Per fare che cosa: per suonare i tamburi in un circolo?». E poi, altra testimonianza, questa volta di Daniel Korbaria, scrittore eritreo che vive in Italia da trent'anni, il quale racconta di essersi occupato della Open Society Foundation e fornisce dettagli non in linea col pensiero unico che vorrebbero imporre i tassisti del mare. Che a quel punto esplodono e decretano la fine della serata. Il sospetto, quasi una certezza stando ad alcuni dei presenti, è che il vergognoso boicottaggio non sia nato sul momento, ma che sia stato organizzato da settimane, da quando s' era saputo della proiezione.
 

 

 

 

ZANOTELLI E RIZZO - La censura, incredibile, è stata benedetta da padre Alex Zanotelli per il quale «questa robaccia non può essere proiettata in questo festival». Lo decide lui. Da Marco Rizzo invece, segretario del Pc, parole di condanna: «Le Ong che interrompono e bloccano la proiezione di un film dimostrano che anche nella solidarietà si innesca il discorso del profitto, e questa è la fine. Sono queste cose, così come il caso Soumahoro, il vero danno per gli immigrati».

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