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Ong e Repubblica, la teoria del complotto: "Così fanno morire i migranti"

Fausto Carioti
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C’è una nuova teoria del complotto, e stavolta è progressista e umanitaria. Gira nella pagine di Repubblica e della Stampa, nei racconti delle ong e nelle accuse che una parte della sinistra lancia dal giorno in cui è avvenuto il naufragio davanti alle coste di Cutro. Dice che le morti degli immigrati in mare non sono una fatalità, né la conseguenza di valutazioni sbagliate, ma il risultato di una cospirazione orchestrata dal governo, che sceglie deliberatamente di lasciare affogare uomini, donne e bambini. Un piano stragista al quale partecipano i nostri uomini in divisa, i vertici della Guardia Costiera, i comandanti delle imbarcazioni che operano nel Mediterraneo e i semplici militari che ricevono le telefonate di soccorso.
Uomini e donne (il solo corpo della Guardia Costiera ne conta undicimila) che fanno morire altri individui, o assistono impassibili a stragi che potrebbero impedire o denunciare, e poi, tornati a casa, baciano i figli sulla fronte e dormono tranquilli.

 

 


Hanno cominciato dopo il naufragio di Crotone, scrivendo che «Nessuno ha voluto salvarli» (Repubblica), che si trattava di «Un naufragio di Stato» (La Stampa). E in pochi giorni sono passati dall’ipotesi dell’omissione colposa alla tesi della strage voluta e cercata. Il navigatore Giovanni Soldini, basandosi, per sua stessa ammissione, su ciò che aveva letto sui giornali, ha spiegato alla Stampa che non salvare quei naufraghi era stata una precisa «scelta politica», perché «c’è qualcuno che pensa che questa sia la soluzione dei problemi migratori». Teoria ripresa pochi giorni dopo dalla europarlamentare Sonja Giese, portavoce del gruppo La Sinistra, per la quale Giorgia Meloni «ha le mani sporche di sangue».

 

 


POLIZIA E CARABINIERI
Affinché la macchinazione stragista funzioni, però, non basta un pugno di ministri, per quanto volenterosi. Occorrono esecutori materiali e soprattutto una struttura organizzata, ed è quella che Repubblica offre ai lettori il 13 marzo, svelando «le regole della vergogna». Ossia un protocollo del Viminale che, secondo il quotidiano diretto da Maurizio Molinari e l’avvocato che rappresenta le vittime di Cutro, contiene «indicazioni in contrasto con tutte le norme vigenti», che avrebbero «ispirato le decisioni assunte nella tragica notte di domenica 26 febbraio». Né Repubblica né il legale, però, dicono la cosa più importante: su quel documento del ministero dell’Interno, datato 14 settembre 2005, ci sono le firme del direttore centrale della Polizia delle frontiere, il prefetto Alessandro Pansa, che in seguito è stato anche capo della Polizia (nominato dal governo Letta) e dei vertici dello Stato maggiore della Marina, della Guardia di Finanza, delle Capitanerie di Porto e dell’Arma dei Carabinieri. Pluridecorati servitori dello Stato che avrebbero approvato un accordo operativo da «vergogna», contrario ad ogni legge italiana e internazionale. Pure loro, evidentemente, complici dell’infame cospirazione.


Il barcone che il 12 marzo si ribalta davanti alla Libia, causando una trentina di morti, è la prova definitiva che siamo davanti a vere e proprie «stragi di Stato», scrive il direttore del quotidiano torinese, Massimo Giannini. La ong Sea Watch si incarica di mostrare la “pistola fumante”, ossia la registrazione del colloquio con il Centro di coordinamento del soccorso marittimo della Guardia Costiera. Informato dalla ong che a Tripoli non c’erano motovedette in grado di aiutare chi era a bordo di quell’imbarcazione, il militare che da Roma ha ricevuto l’allarme ha detto «Ok, thank you for the information, bye bye», e chiuso la telefonata. Sarà corso ad avvisare il proprio superiore, ma per Repubblica questa è «una risposta shock, agghiacciante», e per Sea Watch è la conferma dell’esistenza del piano occulto della Guardia Costiera, che parte dai vertici e arriva sino a chi risponde ai telefoni della sala operativa.


L’AGENDA PARALLELA
«È stata una scelta politica quella dell’Italia di non intervenire mandando tempestivamente mezzi in grado di soccorrere quelle persone. Vogliono lasciarle morire in mare», denuncia la portavoce della ong, Giorgia Linardi. La stessa Guardia Costiera che sabato aveva salvato oltre 1.200 migranti, avrebbe quindi un’agenda parallela e criminale, dettata dall’esecutivo, che prevede di farne affogare il più possibile. Come se quegli uomini, e i loro superiori nella catena di comando, su su sino a palazzo Chigi, non avessero una coscienza e ricavassero da quelle morti un qualche guadagno, anziché una serie infinita di accuse e problemi. Un complotto stragista del quale sarebbero al corrente centinaia, forse migliaia di persone, nessuna delle quali fiata o si pente. Una cosa mai vista, insomma: non solo in Italia, ma nella Storia in generale. E pretendono pure che qualcuno ci creda. 

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