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Migranti, il piano di Piantedosi per l'estate contro l'emergenza-sbarchi

Pietro Senaldi
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«Noi non arretreremo» ha chiarito il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi riguardo alla politica migratoria del governo. Un’affermazione dietro la quale ci sono molte cose, ma è meglio non aggiungere altro. L’argomento è cruciale per le sorti dell’Italia e del mondo, tuttavia l’opposizione lo tratta solo come un randello da scagliare contro l’esecutivo. Tutto diventa pretesto per criticare, il record di salvataggi è usato come argomento per contestare l’efficacia della lotta al traffico di individui e due minuti dopo un naufragio è motivo valido per sostenere che la destra è inumana, come se gli immigrati avessero iniziato a morire in mare dal 26 settembre 2022. Il ministro tace. Di questi tempi è il solo modo per riuscire a fare qualcosa. Possiamo solo immaginare cosa abbia in testa, sperando di non incappare in smentite. Ma poi, come si possono smentire frasi non virgolettate?

AVANTI TUTTA
E allora proviamoci a immedesimarci nell’uomo che siede su una delle poltrone più difficili del governo. Matteo Piantedosi da Avellino, già prefetto di Bologna e Roma nonché capo di gabinetto di Matteo Salvini, quando al Viminale c’era il leader leghista. $ sembrato di capire che non si cambia strada, non si torna indietro; anzi, si rilancia. Il quadro è chiaro. Con l’arrivo della bella stagione la situazione è destinata a complicarsi ma il governo resta convinto che la migliore strategia per evitare le morti in mare sia agire sulle partenze e fare una guerra senza quartiere agli scafisti. Questo esecutivo ha una visione totalmente differente da quella di molti che lo hanno preceduto e che vivevano l’immigrazione clandestina come un fenomeno necessario, inarrestabile, talora anche auspicabile (copyright Boldrini, alla voce “risorse”). 

 

La visione della sinistra è sempre stata che l’immigrazione illegale andasse comunque gestita solo in Italia, con l’accoglienza, con il non detto auspicio che poi il nostro Paese finisse per diventare essenzialmente una stazione di transito del traffico di esseri umani, desiderosi di insediarsi in altre nazioni. L’ex ministro dell’Interno del Pd, Marco Minniti, è stato di fatto costretto a lasciare il partito e si è giocato la carriera per aver provato a fermare i flussi in Libia. Inutile dire che, come può constatare chiunque sia seduto da cinque minuti al tavolo del Viminale, questo atteggiamento passivo, maldestro e malizioso, ci ha creato non pochi problemi con i nostri partner dell’Unione e sta alla base di molti scontri politici che abbiamo avuto sul tema.

L’AGENDA DI ROMA
Unica buona notizia è che adesso il clima è cambiato in Europa. Con il Consiglio europeo a Bruxelles della scorsa settimana è stato confermato il salto di qualità nei rapporti con l’Unione sul dossier immigrazione. Checché ne dicano gli analisti anti-governo in servizio permanente, finalmente i nostri partner condividono la visione italiana del fenomeno migratorio, che deve essere affrontato con iniziative forti in Africa e con lo sforzo di tutti. Stiamo uscendo dalla logica del Trattato di Dublino, che caricava sul primo Paese d’approdo tutte le responsabilità della gestione dei flussi cosiddetti secondari. Ora l’Europa ha capito che il problema dei flussi secondari si combatte efficacemente solo risolvendo quello del flusso primario, cioè delle partenze.

Chi dice che l’Italia è tornata a mani vuote da Bruxelles, perché le decisioni sono state rimandate a giugno, non vuole ammettere che per cambiare le cose in Europa ci vuole tempo. Il governo sta lavorando oggi per arrivare all’appuntamento di inizio estate con una strategia europea condivisa. A metà aprile il ministro Piantedosi sarà con la commissaria europea Johansson in Tunisia per affrontare la crescita delle partenze da quel paese. Dovrebbero esserci anche il ministro dell’Interno francese Darmanin e l’auspicio è che ci sia anche quello tedesco. La Tunisia è l’epicentro del problema, il 70% delle partenze avviene dalla penisola che si protende verso Pantelleria. È una filiera organizzatissima, su cui dobbiamo agire sul posto aiutando le autorità locali. Nell’interesse dell’Italia, dell’Europa ma anche di quei poveretti che partono scommettendo sulla propria vita.

 

Perché l’approdo degli immigrati illegali di mezzo mondo sia l’Italia è evidente. Il ministro Piantedosi sabato ha parlato di «opinione pubblica favorevole», e naturalmente da sinistra è partito un nuovo assalto, che sembra però destinato a finire presto, tanto era debole. $ evidente a tutti che l’Italia resta la destinazione privilegiata per una questione geografica, visto che siamo un braccio teso tra l’Africa e il Nord Europa, dove la maggior parte dei profughi punta. Ma è altresì innegabile che chi salpa sa di poter contare, qui da noi, su un’opinione pubblica favorevole che in altri Paesi, come la Grecia, dove sono tutti schierati contro l’immigrazione clandestina, non si riscontra. I profughi sono attratti dalla tradizione di accoglienza dell’Italia, che è unica nel mondo. I continui arrivi, anche dopo la strage di Cutro, dimostrano che le accuse fatte al governo di aver cambiato il clima e favorito il naufragio erano del tutto prive di fondamento.

LA DISTINZIONE
Siamo i numeri uno al mondo nel soccorso ai migranti insomma, ma questo non significa che si tornerà alla politica delle porte spalancate a tutti, che tanto poi la maggior parte se ne va e in cambio della gestione totale dell’emergenza l’Europa chiuderà comunque un occhio sui nostri conti. Bisogna distinguere tra questione umanitaria del soccorso e questione politica dell’approccio all’immigrazione. Salvare non significa accogliere, questo è un automatismo da combattere. Il ventre molle italiano rispetto alle altre nazioni è la spaccatura della politica. Mentre altrove tutte le forze, trasversalmente, sono contro il traffico di uomini, qui c’è quasi mezzo Parlamento che non lo ritiene una parte del problema. Ma forse addirittura un pezzo della soluzione.

A proposito di soluzioni, la situazione è molto in divenire e tendente al peggioramento, per ragioni geopolitiche, economiche e stagionali. Potrebbero davvero arrivare centinaia di migliaia di persone nei prossimi mesi. Ovviamente, il governo sta lavorando a come contenerle e gestire un periodo d’emergenza sul nostro territorio nel rispetto dei diritti umani e senza sconvolgere la vita degli italiani e la struttura sociale del nostro Paese. Si sta allestendo un nuovo modello di collaborazione internazionale e l’Italia è candidata naturale alla guida del progetto. Quello che è certo è che lavorare con i Paesi africani per contenere i flussi e risolvere sul posto i problemi all’origine dell’immigrazione comporta uno stanziamento importante di denaro da parte dell’Unione Europea che poi andrà gestito al meglio, sostenendo economicamente le nazioni che collaborano.

COLLABORAZIONE
È il cosiddetto “Piano Mattei”, un progetto politico ambizioso ma indispensabile che vuol fare dei Paesi africani dei partner economici dell’Italia. Tutte quelle nazioni hanno un forte problema di opinione pubblica interna, non possono dimostrarsi troppo collaborative con l’Europa in cambio di nulla, altrimenti fanno la figura di essere deboli o asservite. Il Piano Mattei è l’anti-colonialismo: l’obiettivo è portare vantaggi economici a tutti, di qua e di là del Mediterraneo. È una svolta politica e il maggior successo finora del nostro governo è aver portato le altre nazioni dell’Europa su questa linea.

Gioca a nostro favore il fatto che i Paesi dall’altra parte del Mediterraneo si fidano di noi, più che di tutti gli altri. Possiamo contare su ottimi rapporti, anche nell’Africa francofona, dove Piantedosi è stato di recente con una visita ufficiale in Costa d’Avorio, la nazione da cui si sono registrate le maggiori partenze dal Corno d’Africa. Stiamo lavorando a un contenimento del fenomeno migratorio fin da dove ha il suo principio, anche per evitare i campi lager libici. Vanno costruite strutture nell’Africa sub-sahariana, dal Niger al Mali. Frattanto, in Italia, si sta preparando un piano speciale per Lampedusa, Pantelleria, la Calabria, la Sicilia.

Quanto al decreto di regolamentazione dell’attività delle Ong, sta dando risultati. Gli arrivi attraverso le imbarcazioni delle organizzazioni non governative stanno diminuendo. Solo qualche anno fa rappresentavano il 40% del totale, oggi siamo sotto il 10. 

Ma quella del governo non è una guerra alle navi delle Ong, che sono libere di svolgere la loro attività, ma rispettando le regole. La visione che anima la nuova normativa è che l’attività sistematica di soccorso spetta agli Stati, ai governi, e che quella delle imbarcazioni private può essere occasionale, non sistematica altrimenti rischia di essere finanche pericolosa e controproducente. D’altronde, le stragi in mare erano molto più frequenti quando le Ong erano le padrone del Mediterraneo. Più o meno inconsapevolmente, la loro attività finiva per essere anche una sorta di incentivo a partenze disperate. Insomma, il salvataggio in mare è un’attività che riesce meglio quando la fanno dei professionisti e gli Stati e quando non risponde a logiche ideologiche. Quanto alle accuse di rendere difficile la vita alle Ong, costringendo le navi umanitarie a lunghe rotte di salvataggio, questo è imputabile al fatto che la gestione dei porti spetta allo Stato. Le scelte sui luoghi d’approdo rispondono a logiche organizzative che seguono anche le navi della Guardia di Finanza o della Guardia Costiera. Questa, al netto dei commenti, potrebbe essere la linea del governo per i prossimi mesi in tema immigrazione.

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