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Migranti, l'ammiraglio De Felice: "Sui barconi portano droga"

Mirko Molteni
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L’immigrazione clandestina è ancor più legata alla droga di quanto ci si aspetti. Ce lo conferma l’ammiraglio di divisione (in riserva) Nicola De Felice, ufficiale che ha ricoperto numerosi incarichi a livelli di Stati Maggiori e Nato. In particolare, essendo stato addetto militare all’ambasciata italiana a Tunisi dal 2007 al 2010 ha esperienza diretta dei problemi della Tunisia e in genere del Nordafrica.

Ammiraglio, davvero i barconi dall’Africa ci sta portando anche droga, oltre che clandestini?
«Dalle informazioni in mio possesso posso dire che il traffico di migranti è molto intrecciato a quello della cocaina. La droga viene trasportata soprattutto da scafi che definirei da “migranti di lusso”, cioè imbarcazioni con una capienza di circa 20 persone, in genere tunisini che pagano una cifra mediamente più alta rispetto ai subsahariani, vale a dire 9.000 dinari tunisini, equivalenti a circa 3.000 euro, a testa. Costoro trasportano con sé la cocaina che viene poi ceduta in mare a elementi della criminalità organizzata italiana, specie siciliana e calabrese».

Ma la cocaina non arriva di solito dal Sudamerica?
«I traffici di cocaina stanno cambiando. Se in precedenza questa droga veniva dal Sudamerica, ora la criminalità ha fatto acclimatare piante di coca ai tropici africani. Sorgono produzioni di cocaina in aree come Centrafrica, Nigeria o Guinea, non a caso paesi da cui viene un’altissima proporzione di migranti. Tuttavia, a portare la droga fin nelle mani delle mafie italiane sono soprattutto tunisini. La Tunisia è divenuta la tappa intermedia del traffico di coca che arriva dall’Africa Subsahariana verso l’Italia. Fra le maggiori aree di partenza c’è la costa di Sfax, mentre i “giacimenti” di droga immagazzinata, pronta all’imbarco, sono sul confine fra Tunisia e Libia, zona impervia dominata da milizie che sfuggono al controllo dei governi».

Esiste dunque una rete comune fra mafia, ’ndrangheta e criminalità magrebina?
«Oggi accade l’inverso di quanto succedeva negli scorsi decenni. In passato la cocaina non partiva dalla Tunisia, viceversa vi arrivava, triangolata attraverso la Sicilia, la coca d’origine sudamericana. Al mutamento ha contribuito probabilmente anche la corruzione di parte dell’apparato governativo tunisino. I recenti arresti dei dirigenti del partito islamista Ennahda da parte del presidente tunisino Kais Saied potrebbero rientrare in un generale repulisti per arginare la corruzione. Forse sotto il passato governo di Ennahda, molti funzionari avevano chiuso un occhio».

Tale scenario ha a che fare col recente sequestro di droga in acque siciliane?
«Certo, l’episodio dei giorni scorsi si inquadra in questa dinamica. Quei pacchi con 2000 kg di cocaina, per un valore di 400 milioni di euro, lasciati a galleggiare in mare aperto al largo di Catania sono stati probabilmente rilasciati da un barcone di tunisini affinchè fossero poi raccolti dalla mafia. Ma la Guardia di Finanza li ha preceduti».

Come stroncare i traffici?
«È necessario aumentare la collaborazione fra le nostre due repubbliche, Italia e Tunisia. Occorre che la nostra Marina e la nostra Guardia Costiera possano effettuare pattugliamenti congiunti con le unità tunisine all’interno delle acque territoriali del paese nordafricano, ossia entro la fascia delle 12 miglia nautiche (circa 22 km) di distanza dalle coste. Così si impedirà fin dal principio che i barconi salpino».

È vero che l’allarme cresce di ora in ora?
«Stando alle mie informazioni, si prepara un imminente grande movimento di imbarcazioni clandestine dalla Tunisia nelle prossime ore, nella notte tra oggi e domani. In quel momento cadrà ciò che i musulmani chiamano “Id al Fitr”, la festa della cessazione del digiuno del Ramadan. Si prevede che la prossima notte solo un 30% del personale di sicurezza tunisino sarà attivo, poiché la maggior parte sarò intento a festeggiare. Ritengo quindi che nelle prossime ore le forze aeronavali italiane debbano intensificare il pattugliamento marittimo proprio per coprire la pur temporanea carenza di sorveglianza tunisina».

Come fermare la marea di clandestini?
«Auspico che si creino in Tunisia, e in genere in Nordafrica, d’intesa coi governi locali, centri d’identificazione in cui si stabilisca chi è davvero un profugo di guerra, e quindi ha diritto d’asilo, e chi invece debba essere rispedito ai paesi d’origine. Questi centri devono essere realizzati dalle grandi agenzie internazionali, come l’Unhcr, l’ente Onu per i rifugiati, o l’Iom, l’ente Onu per i migranti. Ma devono essere gestiti dall’Unione Europea. A tal proposito propongo che l’Ue istituisca la figura di un incaricato speciale, come fece ad esempio nel caso della Brexit. Questo responsabile europeo dovrebbe essere, a mio parere, un esperto di sicurezza internazionale, possibilmente un ex-militare, che abbia grande esperienza del Maghreb e delle sue dinamiche politiche, sociali e strategiche».

E sei paesi d’origine rifiutassero i rimpatri?
«Per convincere i paesi di provenienza degli irregolari a riprenderseli non c’è che un modo. Quella che gli anglosassoni chiamano “moral suasion” e che noi potremmo definire “patti chiari, amicizia lunga”. Ovvero assicurare a questi paesi che potranno usufruire di una serie di accordi economici con i paesi dell’Unione Europea, per esempio facilitazioni doganali ai loro prodotti, oppure investimenti europei per il loro sviluppo in loco, soltanto se collaboreranno sul fronte immigrazione».

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