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Open Arms, balle smontate: "Continui contatti con la Guardia Costiera"

Fabio Rubini
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Nel processo palermitano contro Matteo Salvini - accusato di non aver fatto sbarcare i migranti a bordo della nave Open Arms nel 2019, quando era ministro dell’Interno - non passa udienza senza che la difesa sveli pagine quantomeno opache nella gestione di queste organizzazioni non governative. A gettare nuove ombre sulla Ong spagnola è stata la deposizione di Oscar Camps, fondatore della Open Arms, che incalzato dall’avvocato di Salvini, Giulia Bongiorno, è stato costretto a dipingere un quadro assai diverso da quello tratteggiato dai capi d’accusa sui quali si poggia il processo.
Il primo colpo inferto è stato quello alla “presunta” solidarietà tra Ong.


Durante l’interrogatorio della Bongiorno a Camps, è emerso che il primo di agosto del 2019 la nave Alan Kurdi della Ong tedesca Sea Eye aveva chiesto aiuto proprio alla Open Arms per poter trasferire parte dei migranti che aveva a bordo, ottenendone un secco rifiuto a causa della mancanza delle «condizioni legali per un accordo», come scrisse il capitano della nave sul diario di bordo. In aula invece Camps ha spiegato che quella scelta è stata fatta perché «senza autorizzazione della guardia costiera non possiamo organizzare trasferimenti». Una risposta che ha sorpreso la stessa Bongiorno, visto che da anni le Ong che navigano nel Mediterraneo violano le regole loro imposte nel nome della solidarietà e del salvataggio di vite umane. Evidentemente regole che valgono quando il contraltare è il governo italiano- meglio se con tutto o parte del Centrodestra nell’esecutivo-, ma non quando a chiedere aiuto è un’altra organizzazione non governativa.

 


L’altro punto a favore della difesa riguarda il presunto abbandono dei migranti a bordo della Open Arms da parte del governo italiano. Anche in questo caso la deposizione di Camps è stata illuminante ed è servita a smontare anche questa accusa. Durante la sua deposizione, infatti, lo spagnolo ha dovuto ammettere «davanti a tutti - ha spiegato la Bongiorno - che effettivamente riceveva da parte della Guardia Costiera continue richieste di disponibilità a farli sbarcare. Era sufficiente attestare le condizioni mediche». E non è tutto, perché sempre Camps ha ammesso di essere stato in contatto sia con l’allora cancelliera tedesca Angela Merkel, che gli avrebbe assicurato un aiuto a livello europeo (usiamo il condizionale perché Camps non ha voluto depositare le mail di risposta della Merkel, definendole «private».

 

 

La Procura però ne ha chiesto l’acquisizione); sia con le autorità spagnole che misero a disposizione della Open Arms due porti, giudicati però «troppo lontani da raggiungere». Tutte circostanza che fanno dire all’avvocato Bongiorno che «la Open Arms non fu abbandonata, ma anzi coccolata». Infine resta in sospeso il nodo dei finanziamenti. Nel tentativo di capire come e chi finanzia queste spedizioni, Camps ha risposto che il 90% dei finanziamenti della sua organizzazione sono di natura privata. Ma alla successiva domanda su chi siano i finanziatori e se ne potessero conoscere i nomi, il fondatore della Ong ha risposto: «Credo siano pubblici...». Al termine dell’udienza, uscendo dal tribunale di Palermo, Matteo Salvini ha spiegato che «dall’udienza di oggi, dove rischio fino a 15 anni di carcere, sono emerse notizie interessanti: Open Arms aveva rifiutato, anche se non aveva ancora immigrati a bordo, di aiutare Alan Kurdi che lamentava di averne troppi. Poi la Ong spagnola veniva assistita in tutti i modi, con continue telefonate dall’Italia, potendo perfino contattare personaggi del calibro di Angela Merkel e Richard Gere. La Ong aveva declinato sdegnosamente gli aiuti e i porti di Malta e Spagna, a costo di aumentare i giorni di navigazione: l’obiettivo era sbarcare solo in Italia». Il processo si riaggiornerà il 7 luglio. 

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