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Salvini demolisce Carola Rackete due volte: "Zecca tedesca"? Ma...

Francesco Storace
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Una sinistra faziosa, astiosa, incapace di combattere l’avversario pervia politica, torna a inseguire la strada giudiziaria. E se non ci fosse stata una maggioranza compatta al Senato, quei signori che stanno in Parlamento a dire sempre di no, avrebbero imposto un nuovo processo contro Matteo Salvini per quattro parole assolutamente meritate nei confronti della loro eroina Carola Rackete. Senza vergogna - con l’eccezione di Italia Viva e di Ilaria Cucchi (Avs) che si è astenuta, va detto l’opposizione più perdente del pianeta sul piano elettorale, è andata sotto a Palazzo Madama anche sul giudizio da infliggere a Salvini. Senza nemmeno un briciolo di autocritica perla macelleria giudiziaria di Palermo, dove il leader della Lega rischia quindici anni di galera. Nella scorsa legislatura fu proprio una maggioranza politica a mandarlo alla sbarra sotto l’accusa di sequestro di persona.

E ora pretendevano il bis con la diffamazione. La maggioranza li ha per fortuna mandati al diavolo e ha stabilito che la politica fa la politica e non si sottomette ai procuratori che vogliono decidere il destino dei ministri persino quando ti trovi contro chi se la prende con la Guardia di Finanza ai confini della Nazione. O Carola Rackete pensa che se quello che ha combinato davanti alle nostre coste lo avesse fatto nella sua Germania non l’avrebbero schiaffata in carcere?

 

 

Se una Rackete italiana avesse speronato una nave militare ad Amburgo starebbe ancora a piangere in galera. Alla maggioranza di governo si è aggiunta anche la pattuglia senatoriale di Matteo Renzi: non hanno votato a favore di Salvini- li avrebbero linciati in aula i compagni di sconfitta- ma si sono astenuti. Di questi tempi è un segnale importante. Il voto di Palazzo Madama era proprio sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini per le frasi indirizzate all’attivista Carola Rackete, comandante della Sea Watch 3, la nave della Ong tedesca. A dire “no” alla richiesta della Procura di Milano, sono stati 82 senatori (Lega-Fdi-Fi), 60 invece a favore della pretesa della magistratura (Pd, M5s, Avs) e 5 astenuti (tra cui proprio Iv). E del resto identico responso aveva preceduto l’approdo del caso Salvini in Aula già nella Giunta delle immunità, che a fine febbraio 2023 aveva giudicato insindacabili le affermazioni dell'allora ministro dell'Interno.

LA VALUTAZIONE - Al voto del Senato si è arrivati su richiesta del tribunale di Milano. Il 23 giugno dello scorso anno il giudice Maria Burza aveva accolto una delle questioni preliminari avanzate dal legale di Salvini (in aula c'era all'epoca l'avvocato Claudia Eccher) e aveva trasmesso a Palazzo Madama gli atti del processo in cui il leader della Lega era accusato di diffamazione aggravata nei confronti dell'attivista tedesca. Il Tribunale aveva deciso, infatti, che spettava al Senato valutare se le frasi, pubblicate sui social tra giugno e luglio 2019, con cui Salvini aveva definito l’allora comandante della Sea Watch 3 - tra le altre «zecca tedesca, complice di scafisti e trafficanti», «sbruffoncella che fa politica sulla pelle di qualche decina di migranti» o «ricca tedesca fuorilegge» - fossero o meno coperte dall'insindacabilità per via del suo ruolo di senatore e, ai tempi, di ministro dell'Interno. Ovviamente con la contrarietà (si può dire scontata...?) del pm di Milano Giancarla Serafini che aveva parlato di «aggressione» di Salvini.

 

 

Ma mica è finita qui, perché anche Giorgia Meloni ha avuto la sua razione di attacchi dalla sinistra più livorosa del mondo, che le ha rimproverato in Aula di aver definito «speronamento» la manovra di Carola Rackete in mare. Non l’hanno mandata giù, quelli dell’opposizione sventolando una sentenza della Cassazione. Il che equivale a dire che è la magistratura a dover ancora comandare sulle aule del Parlamento. Che invece ha il dovere di verificare la presenza di atti politici che vanno tutelati proprio perché il Parlamento deve essere libero di esprimere le proprie valutazioni. Insomma, l’illusione di un ennesimo processo a Salvini svanisce. Era stato il Senato- a maggioranza politica - a decidere di mandarlo davanti ai magistrati di Palermo, ora è sempre il Senato a stabilire, con una maggioranza più ampia di quella di governo, di evitare un bis decisamente fuori luogo. Insensato, costoso, vendicativo.

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