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Iuventa, taxi del mare oppure no le Ong sono pericolose

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Lorenzo Mottola
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Pochi se ne ricorderanno, ma l’espressione “taxi del mare” non è stata concepita da esponenti del Centrodestra: l’ha coniata Luigi Di Maio, attualmente inviato con ignote mansioni nel Medio Oriente (scudo umano anti-droni?) per conto dell’Unione Europea. Ed ex candidato silurato alle ultime politiche con una lista apparentata al Partito Democratico. Partito Democratico che ieri ha celebrato la vittoria in tribunale delle Ong che da ben sette anni erano sotto indagine per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina tra la Libia e l’Italia. Da 48 ore, infatti, a sinistra è festa grande. La sentenza - hanno scritto ieri Repubblica e Stampa - smonta la narrazione della destra sull’immigrazione.

«Forse ora la smetteranno di parlare dei “taxi del mare” e capiranno che il soccorso è un obbligo legale e morale», ha detto ieri Tommaso Fabbri, capo-missione di Medici senza Frontiere. I magistrati di Catania non hanno trovato prove sufficienti per collegare direttamente queste organizzazioni a criminali libici. Tutto partiva da una serie di testimonianze. Per esempio, i segnali luminosi che venivano fatti dalla costa (con risposte dalle navi) per segnalare partenze, in modo che le operazioni di salvataggio si trasformassero in veri e proprio scambi. Non era vero? Nella sostanza non cambia nulla. La presenza delle Ong resta comunque un evidente problema. Non servono messaggi o accordi con gli scafisti, tutti conoscono le posizioni delle navi delle varie associazioni presenti al largo delle coste africane, la gran parte delle quali battenti bandiere di paesi stranieri (ne esiste una sola italiana) e finanziate in maniera a dir poco oscura. Basta andare su internet, si trova la posizione di tutti gli scafi. E per mandare SOS dalle imbarcazioni e segnalare la propria posizione esistono canali social e “numeri verdi” ad hoc (Alarm Phone). Detto in altre parole, è del tutto evidente che il lavoro di queste associazioni faciliti quello degli scafisti, anche senza bisogno di una telefonata per stabilire intese preventive. E proprio per questo hanno molto senso le richieste di trasparenza su chi foraggia queste persone. Da qui la polemica sul cosiddetto “pull factor”.

 

Il Viminale ha più volte sostenuto che la presenza delle navi di volontari rappresenta un incentivo alle partenze. I ricercatori vicini alla causa rispondono con studi casalinghi, tesi a dimostrare che la presenza delle Ong non cambia affatto il traffico illecito tra Europa e Africa. Resta una domanda cui rispondere: ma se doveste attraversare il Mediterraneo su un gommone di fabbricazione cinese guidato da uno scafista davvero non vi interesserebbe sapere se c’è una nave a metà strada pronta a fare la spola con l’Italia? Per non parlare del fatto che ovviamente entrare in contatto con la Guardia Costiera italiana è decisamente più complesso che parlare con l’equipaggio di Luca Casarini. Le probabilità di un arresto diventano decisamente meno consistenti. Nei mesi scorsi Libero ha pubblicato alcuni dati recenti sugli sbarchi. In generale, le partenze da sud sono in calo, restano invece stabili gli arrivi a bordo di imbarcazioni legate al cosiddetto terzo settore.

Qualsiasi rappresentante di una Ong vi risponderà che non è questo il punto, il nodo è cercare di salvare vite umane mentre chi contrasta il loro lavoro, al contrario, rende difficile questo processo. La realtà dei fatti è radicalmente diversa. Come certificano i dati delle agenzie Onu, i picchi di decessi tra i migranti sono stati registrati non certo quando l’azione di contrasto alle Ong – in particolare con Salvini al Viminale – è arrivata all’apice, ma molto più banalmente quando sono partite più persone dall’Africa. L’unico modo per evitare le morti, è fermare le partenze. Le Ong – oltre che potenzialmente dannose – sono pure inutili.

 

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