Ecco i migranti che dobbiamo tenerci: furto, rapina, minacce e lesioni

Rimpatri dall'Albania bloccati dalla Cassazione: sono due nordafricani con precedenti per furto, rapina, minacce, droghe, lesioni e altro. Presto saranno liberi
di Fausto Cariotidomenica 1 giugno 2025
Ecco i migranti che dobbiamo tenerci: furto, rapina, minacce e lesioni
4' di lettura

C’è un diritto dimenticato, nelle decisioni con cui la magistratura ha bloccato i trasferimenti in Albania di due immigrati da rimpatriare e chiamato in causa la Corte di Giustizia Ue: è il diritto degli italiani a vivere in un Paese sicuro. Lo hanno ignorato i giudici della Corte d’appello di Roma, quelli della Corte di Cassazione e gli esponenti dell’opposizione che brindano ai loro provvedimenti. Nessuno si è posto una domanda: chi sono questi due immigrati? Libero ha avuto modo di leggere i loro curricula, scoprendo che una parte delle loro storie non è stata raccontata. Ed è la parte più interessante.

Uno è nato in Algeria nel 1994 e dichiara di essere sbarcato a Genova, nel 2008, con un visto per ricongiungimento familiare. Il suo permesso di soggiorno, scaduto nel 2016, non è stato più rinnovato. Due decreti di espulsione, nel 2020, sono rimasti ignorati. Rintracciato lo scorso febbraio, è stato trasferito nel Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) di Gjader, in Albania. Qui il 23 aprile ha presentato domanda di asilo politico. La Corte d’appello non ha convalidato la domanda di trattenimento, sostenendo che l’uomo, essendo richiedente asilo, non può essere espulso né rimpatriato. Il Viminale si è opposto, ma la Cassazione non ha accolto il ricorso e ha girato la pratica alla Corte Ue. Di conseguenza, l’algerino è stato subito riaccompagnato a Bari, dove una visita medica ha decretato che non è idoneo alla vita in una comunità ristretta, poiché soffre di una cisti pancreatica ematica post traumatica, una condizione medica quasi sempre benigna.

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Se il suo stato clinico non preoccupa, lo stesso non si può dire di quello giudiziario. A carico di questo trentunenne ci sono: una notizia di reato del 2015 per lesioni personali e minaccia; un arresto nel 2016 per un furto in abitazione a Firenze; una notizia di reato, nel 2017, per lesioni personali e minaccia ai danni dell’ex compagna; un’altra notizia di reato, nello stesso anno, per stupefacenti; una condanna a un anno e quattro mesi a Firenze, nel 2018, per furto aggravato; una condanna di sei mesi per danneggiamento, emessa nel 2018 dal tribunale di Prato; una condanna a sette mesi nel 2022, di nuovo a Firenze, per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale; una condanna a sette mesi e dieci giorni per resistenza a pubblico ufficiale a Latina, nel 2023; una denuncia a piede libero per minacce e danneggiamento, che avrebbe commesso a Ponza un anno fa. Sempre che sia tutto: l’uomo ha usato molti alias.

L’altro immigrato è nato in Tunisia nel 1986. Risulta essere entrato in Italia nel 2004, illegalmente, dal territorio di Agrigento. Nel 2006 ha chiesto permesso di soggiorno per lavoro, che gli è stato rinnovato fino al 2024, quando la domanda è stata rigettata a causa delle condanne riportate. Dopo che lo scorso settembre è stata decretata la sua espulsione per motivi di pericolosità sociale, è stato trattenuto nel Cpr di Bari e quindi, a marzo, portato pure lui a Gjader. Qui il 22 aprile ha chiesto asilo politico: anche nel suo caso, la convalida del trattenimento è stata negata dalla Corte d’appello e la Cassazione si è rivolta alla Corte Ue. È stato quindi ricondotto in Italia, dove una visita medica ha decretato che non può vivere in una comunità ristretta, poiché soffre di bronchite acuta.

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Oltre a essere indagato in stato di libertà per il tentato omicidio del fratello, questo trentanovenne ha a carico condanne per lesioni, violazioni di sigilli e violazione delle disposizioni sul controllo delle armi, nonché numerosi precedenti per rapina, lesioni, ricettazione e stupefacenti.

Fonti qualificate spiegano che le procedure di trasferimento e trattenimento dei due nordafricani nel Cpr di Gjader sono state del tutto compatibili col diritto italiano e dell’Unione. La nuova sfida al governo, lanciata dai magistrati proprio quando il meccanismo dei rimpatri si è messo in moto, non segna quindi la fine dell’“operazione Albania”, ma fa solo guadagnare un po’ di tempo a chi la osteggia. A maggior ragione perché dal 2026, col nuovo patto Ue sulla migrazione e l’asilo, l’uso di centri nei «Paesi terzi sicuri» sarà previsto e disciplinato dal diritto dell’Unione.

Resta il fatto che i due immigrati protagonisti di questa storia, ora che il loro rimpatrio è stato bloccato e sono stati riportati in Italia, torneranno probabilmente a piede libero in breve tempo. E lo stesso accadrà a quelli che si troveranno in condizioni simili alle loro. Con tutti i rischi che questo può comportare per il resto della collettività, il cui diritto alla sicurezza non è stato messo sulla bilancia dai magistrati: a quanto pare, perché ritenuto ininfluente.