Bruxelles, abbiamo un problema. Che non corre dalle Alpi alle piramidi, ma da Lampedusa al Nord Est britannico, anche se la Gran Bretagna non fa più parte dell’Ue. Ed è l’immigrazione irregolare incontrollata, che pesò non poco sulla stessa Brexit quando l’Europa era di manica larga con l’apertura delle frontiere e il principio astratto della redistribuzione obbligatoria, che Londra ha provveduto almeno formalmente a richiudere mettendo il Trattato di Schengen nel cassetto.
La politica ha provato a mettere pure una pezza con la Francia per allentare la pressione di barche, barchini e barconi sulla Manica, rimandando sul continente gli irregolari. Solo che la tensione, a Londra, non si allenta. La protesta non corre più sul filo ma nell’etere dei social e si incarna in manifestazioni con scontri, sull’onda della chiusura a Londra del Bell Hotel per immigrati illegali richiedenti asilo, contro cui il governo Starmer è intenzionato a presentare ricorso. Il problema nel problema è che altri consigli municipali sono avviati verso azioni legali per chiudere le strutture gestite dal ministero dell’Interno. Casi isolati o questioni interne?
Macché. La foglia di fico penzola pericolosamente sulle pudenda del partito trasversale dell’accoglienza senza se e senza ma. In Germania i tempi dell’assistenza legale gratuita ai richiedenti asilo sembrano finiti, mentre a casa nostra gli immigrati sono puntualmente indirizzati e sostenuti per domande e ricorsi di ogni genere. Della Grecia che qualche tempo fa sventagliava a pelo d’acqua per respingere i canotti dei migranti provenienti dalla Turchia qualcuno si è dimenticato, ma i greci no. La Danimarca ha stretto le maglie, la Spagna dà la bandiera alle Ong nel Mediterraneo ma non i porti di sbarco, e nelle enclaves in Marocco di Ceuta e Melilla non solo c’è una grande barriera di separazione con reti e filo spinato ma all’occorrenza non si fanno complimenti ai clandestini. Respingimento non suonerà bene ma non è un tabù neppure linguistico. In Italia, esaurita la scala terminologica degli eufemismi, è divenuto abbastanza chiaro che permessivismo buonista acritico, accoglienza purché sia e ecumenismo d’accatto non vanno d’accordo con conti, sicurezza sociale e ordine pubblico. Le parole d’ordine di un’alta carica dello Stato che parlava e straparlava di risorse che ci pagavano la tensione e di cultura che sarebbe diventata la nostra (e su questo ci sarebbe parecchio da discutere, perché dipende dal punto di vista) si sono rivelate un libro dei sogni dentro cui si nascondeva la polvere dell’ideologia spacciata per preminente sulla logica e pure sul buon senso. Le risorse, più che altro, vengono drenate dai costi elevati del sistema, e non risultano pervenute file e resse all’Inps per versare contributi.
La ricetta dei diritti senza doveri non funziona da nessuna parte in Europa, come non ha ancora funzionato l’idea della gestione e della sostenibilità dell’immigrazione se non reinserita sui binari della legalità come predica il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi. La sinistra ha disegnato una situazione irreale con parole di miele, la destra ha spesso usato parole sbagliate per fronteggiare una situazione reale, dove si intersecano lacci e lacciuoli di leggi, regolamenti, poteri in contrasto e aspetti etici. In Inghilterra la sinistra accusa Nigel Farage di soffiare sul fuoco della protesta sociale a fini elettoralistici, in Italia ci si strappa ogni volta i capelli per la concessione alle Ong di porti troppo lontani dalle zone operative: forse per non poter più allestire i teatrini di sbarco cantando «Bella Ciao» che magicamente e improvvisamente a bordo tutti conoscevano.