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Agenzia delle entrate, ecco come il fisco vi incastra con i nuovi algoritmi

Avete presente il “quinto emendamento” dei polizieschi americani? Nessuno può essere obbligato a testimoniare contro se stesso. Ma se ci autoaccusiamo pensando di difenderci? Ruota intorno a questa ipotesi gran parte della nuova strategia del fisco per stanare gli evasori. Basata sulla possibilità da parte dell’Agenzia delle entrate di avvalersi dell’intelligenza artificiale e di sofisticati algoritmi per passare al setaccio i nostri dati. Conti correnti, pagamenti elettronici, foto su Facebook, case e auto possedute, viaggi: tutto finisce nell’enorme cervellone del fisco, il quale sfornerà elenchi non di colpevoli ma di sospettati. Elenchi stilati sulla base di anomalie o incongruenze oppure semplicemente applicando delle equazioni che rivelano la potenziale pericolosità del contribuente. È quella che viene chiamata la “giustizia predittiva”, ultimo grido in materia di investigazioni tributarie, che consente di pizzicare l’evasore ancor prima che evada. Il progetto è innovativo, futuristico ed efficace. Ha solo un piccolo difetto: produce illazioni, non prove. Il problema nasce quando queste illazioni vengono usate per gli avvisi bonari, le letterine che il fisco amichevolmente ci invia per segnalarci anomalie ed invitarci a metterci in regola. Anche se sei a posto, devi dimostrare di essere innocente. In caso contrario, l’Agenzia inizierà a tartassarti di controlli. Ma adesso la trappola scatta anche se tentate di giustificarvi. Se rispondete per difendervi, infatti, l’Agenzia delle entrate potrà utilizzare le vostre spiegazioni per dettagliare l’imputazione, senza neanche il bisogno di andare a verificare i fatti. Il che renderebbe preferibile stracciare l'avviso e aspettare la cartella esattoriale. Tanto per evitare di fregarsi con le proprie mani. La sostanza è che quando il fisco ci scrive sono sempre guai. 

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