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Becchi, la lezione che sveglia il Cav: "Euro e Ue? Si fa così", Il dettaglio che vogliono svelarvi

Giovanni Ruggiero
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Sull' euro e sulla Ue le distanze fra Salvini e Berlusconi sembrano, a prima vista, incolmabili. La posizione della Lega è chiara e ribadita all' ultimo congresso del partito. Una volta al governo, ci si siede al tavolo di Bruxelles per ridiscutere i trattati e tornare alla situazione pre-Maastricht. E prima di Maastricht l' euro non c' era. Cancellare insomma l' Ue dalla carta geografica e tornare alla Cee. Una comunità di Stati liberi, indipendenti e sovrani che con la loro moneta cooperano e commerciano fra di loro. Come ci si arriva? Con un divorzio consensuale, e senza referendum. Un negoziato intenso e spigoloso per arrivare ad uno smantellamento coordinato dell' eurozona appare quindi inevitabile. L' Italia infatti, a differenza del Regno Unito, ha nell' Ue un cliente importante anche se non esclusivo. Fatto 100 il nostro surplus commerciale con l' estero, circa il 23% (quasi 12 miliardi) sono il nostro fatturato targato Ue. È quindi nell' interesse del Paese negoziare un divorzio che sia il più possibile «pacifico e consensuale» evitando - per quanto possibile - ritorsioni protezionistiche degli altri partner. Peraltro già molti sono gli esempi di Paesi extra Ue che hanno stipulato accordi di cooperazione commerciali importanti con Bruxelles: dalla Norvegia alla Svizzera. Diciamocela tutta però: le probabilità che questo negoziato possa andare liscio sono piuttosto basse. Ed affinché una negoziazione non si trasformi in un' implorazione, occorre avere un Piano B, e quanto più questo sarà pronto, credibile e concreto, tanto più sarà possibile arrivare ad un accordo. Quello che dobbiamo assolutamente evitare è di fare la fine della Grecia. Quando cioè la Bce, a fronte di improbabili minacce di uscita dalla moneta unica, non esitò a chiudere i rubinetti del credito alle banche elleniche scatenando il panico fra i correntisti. La soluzione proposta dalla Lega per bocca di Claudio Borghi, il responsabile economico, è quella dei minibot. Di che si tratta? In pratica una moneta parallela e provvisoria per facilitare l' uscita in sicurezza dall' euro. I minibot sono la soluzione più semplice - l' uovo di Colombo - per mettere in circolo la futura moneta. Nell' eurozona non è infatti possibile stampare moneta senza l' autorizzazione della Bce. Ma nulla viene detto circa il taglio minimo che può avere il debito pubblico. Borghi quindi propone l' emissione di debito pubblico in piccolo taglio, utilizzabile per pagare le tasse. Si mettono cioè in circolo, distribuendo a chi già attende invano soldi dallo Stato, minibot di piccolo taglio che abbiano l' aspetto di bancanote. Minibot da 5, 10, 20, 50, 100, 200 e 500 euro - senza interessi e al portatore - emessi direttamente dal Tesoro. Verrebbe quindi emesso un quantitativo analogo all' ammontare attuale di cartamoneta; infatti i crediti che lo Stato deve saldare e l' importo facciale delle banconote in euro attualmente in circolazione, sono valori praticamente comparabili. I minibot sarebbero liberamente negoziabili ed avrebbero un valore uguale all' euro. Borghi fa in proposito l' esempio dei gettoni telefonici che i più vecchi fra i nostri lettori sicuramente ricorderanno. Erano utili a telefonare, e valevano 200 lire. E ricorderanno tutti che venivano di fatto usati come moneta. I minibot potrebbero essere usati per pagare le tasse o la benzina, ad esempio. Con i minibot, in caso di uscita dall' euro, non ci sarebbero problemi di chiusura degli sportelli. Perché quella sarebbe la nostra nuova moneta di fatto già circolante. E non si tratterebbe neppure di fare maggiore spesa pubblica. Verrebbe semplicemente compiuto un atto di giustizia nei confronti dei creditori. Pensate ad esempio ai tanti imprenditori che avanzano soldi dallo Stato per fatture non saldate o per l' iva a credito. Verrebbero immediatamente pagati con i minibot. E neppure il debito aumenterebbe. Si tratterebbe soltanto di rappresentarlo sui libri contabili dello Stato in maniera diversa. Anziché «debiti verso fornitori» sarebbero definiti come «debiti rappresentati da titoli». In pratica la nuova moneta sarebbe già in circolazione nel momento in cui l' Italia decidesse di staccare l' interruttore e se la forma dei minibot fosse analoga a quella delle attuali banconote, i costi di adattamento dei Bancomat - ad esempio - sarebbero ridotti. Insomma, due piccioni con una fava. Imprenditori pagati subito e una seconda moneta provvisoria che possa agevolare l' uscita ordinata ed immediata dall' euro. Sul tema di una seconda moneta dentro Forza Italia la confusione invece regna sovrana più che «sovranista». Il Cavaliere lanciò l' idea di una roba simile alle Am-Lire (la valuta di guerra imposta dagli alleati nel Mezzogiorno occupato nel 1943) da affiancare alla moneta continentale. Il tutto pur di non toccare il sacro totem dell' euro. Ma se il punto di partenza è l' osservanza dei Trattati Europei quest' idea dovrebbe essere catalogata come puro "nonsense". L' art. 128, comma 1, del Trattato di Lisbona sancisce infatti «il diritto esclusivo della Bce all' emissione di banconote in euro all' interno dell' Unione» per poi aggiungere che le «uniche banconote aventi corso legale nell' Unione» sono quelle emesse dalla Bce e dalle banche centrali nazionali dei singoli paesi, ovviamente sempre in euro. Quindi, la proposta di emettere una moneta solamente per il mercato interno italiano va contro i Trattati europei. Ma dopo mesi di ambiguità e silenzi, ecco che dagli ambienti di Arcore sembra filtrare una seconda interpretazione decisamente più interessante. Si parla sempre di una seconda moneta: una per le transazioni domestiche ed una comune (anziché unica) per le transazioni internazionali. Può sembrare un' astrusa differenziazione lessicale. Questione di lana caprina. Ma così non è. Tornate indietro con la memoria. Non troppo in là. Al 1992. In Italia, forse pochi lo ricorderanno, vi erano due monete: la lira e l' ecu. In Germania vi erano due monete: il marco e l' ecu. L' ecu altro non era che una «valuta virtuale». Ciascuna moneta nazionale aveva un suo tasso di cambio rispetto all' ecu. Questo tasso di cambio (o prezzo di mercato) poteva oscillare in misura ridotta. +/- 2% rispetto ad una parità centrale prefissata, nel caso dei Paesi ritenuti «più disciplinati». O di un +/- 6% nel caso dei Paesi ritenuti «più allegri», come ad esempio l' Italia. Era il cosiddetto Sistema Monetario Europeo. Un meccanismo fortemente voluto dalla Germania e soci per «imbrigliare» eventuali svalutazioni rispetto all' ecu (e quindi rispetto al supermarco). Chi si intende di import/export infatti sa che la svalutazione di una moneta si traduce immediatamente in ordinativi, fatturato ed impianti che lavorano a pieno ritmo. Mentre una moneta che si rafforza si traduce in magazzini pieni di merce invenduta e casse vuote. L' Italia incautamente provò a dimostrare e dimostrarsi di sapere mantenere la banda di oscillazione anche al 2%. Per sembrare meno allegra e più disciplinata. Per far questo, ricorderete che il premier Giuliano Amato arrivò addirittura a tosare nottetempo i conti correnti rubandone il sei per mille. Tutto fu inutile. La lira tornò a fluttuare liberamente rispetto all' ecu (ed al marco). L' economia ripartì di slancio. L' esperienza del '92 dimostra quindi che agganciarsi ad un tasso di cambio - ed alla bisogna staccarsi - è una decisione relativamente semplice. Insomma roba da metterci la firma subito se questo dovesse essere il dazio da pagare per uscire dall' euro. Si guardi ad un esempio molto più recente: la Repubblica Ceca dentro l' Ue ma senza l' euro. Lo scorso aprile Praga ha deciso di lasciar fluttuare liberamente la sua corona rispetto all' euro. È bastata la firma su un decreto. Nulla di più. La Cekia è il Paese in Europa con il più basso tasso di disoccupazione (2,9% per la precisione) e la sua Banca Centrale in queste ore sta aumentando i tassi di interesse pur di raffreddare il ciclo economico. Vale a dire hanno il problema di non far correre troppo la loro economia. Se questa fosse la posizione di Forza Italia, ecco che le differenze fra Berlusconi e Salvini sarebbero molto meno marcate di quanto possa sembrare a prima vista. Dal momento che sia Lega che Forza Italia di fatto aspirerebbero a tornare alla situazione pre-Maastricht. di Paolo Becchi e Fabio Dragoni

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