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Matteo Renzi, il ruolo di Mario Draghi dietro la sua ascesa

Mario Draghi

Andrea Tempestini
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Il sospetto era stato avanzato già la scorsa settimana da Peter Spiegel, capo della redazione economica di Bruxelles del Financial Times, che lanciava il sasso nello stagno: "Forse Renzi deve il suo nuovo lavoro a Draghi". Il nuovo lavoro, beninteso, è quello di premier italiano. Una teoria tutt'altro che campata in aria: a favorire la repentina ascesa del sindaco di Firenze potrebbe aver significativamente contribuito mister Bce, il governatore dell'Eurotower, Mario Draghi. Secondo Spiegel, come riporta Il Foglio, non c'è però stata alcuna manipolazione, nessuna "soffiata", nessuna spintarella in prima persona: semplicemente Draghi, con le munizioni a sua disposizione, è riuscito a far calare ulteriormente lo spread tra Btp e bund tedesco, generando così una sorta di "senso di rilassatezza inoperosa" nel governo Letta. Una "rilassatezza inoperosa" buone per affondare il colpo, per permettere che l'inerzia affondasse il governo Letta stesso (da rimpiazzare col governo Renzi). Le ragioni - Il punto è capire perché Draghi potrebbe aver contribuito, più o meno direttamente, alla realizzazione di un simile avvicendamento. Ed è qui che ci si affaccia su scenari di una "soft-guerriglia" europea, da un lato il fronte pro-austerity guidato da Angela Merkel, dall'altro quello dei Paesi impazienti di liberarsi dal giogo berlinese la cui principale conseguenza è la non-crescita. Renzi, a differenza di Letta, ha sempre dimostrato di non avere un approccio ideologico all'austerity fiscale su cui spingono Germania e istituzioni europee, proprio quell'approccio non-ideologico che ha sempre dimostrato di avere anche Draghi (si pensi al "bazooka", ossia all'acquisto di titoli di Stato, alle armi "non convenzionali"). Dunque, per Draghi, Renzi era il cavallo su cui puntare.  Parte due - Il piano del governatore della Bce, però, potrebbe prevedere anche un secondo step, decisamente più indigesto. Uno "step" di cui vi avevamo dato conto già qualche giorno fa: Romano Prodi al Quirinale (grazie alla "manina" degli Stati Uniti). L'ex premier, infatti, criticò Letta poiché troppo ligio ai diktat di Bruxelles e Berlino: per Draghi, dunque, con Renzi a Palazzo Chigi, Prodi comporrebbe il tandem perfetto per rispondere al fuoco di Berlino nel probabile caso in cui torni a chiedere di tirare troppo la cinghia. Un tandem perfetto per Draghi, utile (forse) nell'opporsi alla Merkel, ma che spaventa quell'ampia fetta di Italia - centrodestra in primis - che Prodi al Colle lo vede come il fumo negli occhi (la scalata quirinalizia potrebbe scattare a ottobre-novembre, dopo il varo dell'Italicum e le plausibili dimissioni di Giorgio Napolitano). Rete atlantica - Dietro a Draghi e dietro a Renzi, però, si muovono altri poteri, agiscono altri centri di influenza che come detto hanno il loro epicentro negli Stati Uniti. Centri di influenza contrari alla linea del rigore imposta dalle alte cancellerie euroepee. Non a caso, Draghi è legato a doppio filo al tessuto finanziario a stelle e strisce, coltiva buoni rapporti con Larry Summers (ex segretario al tesoro di Bill Clinton), ha alle spalle una grande esperienza in Goldman Sachs, ha recentemente incassato i complimenti del "guru" George Soros. Anche Renzi, seppur ancora agli inizi, ha iniziato a sviluppare la sua "rete atlantica". Alcuni indizi, in ordine sparso: il viaggio di studio negli Usa nel 2007, il Time che lo incorona già nel 2009 come "Obama Italiano", le parole di encomio dell'ex ambasciatore Usa a Roma, David Thorne, l'endorsment degli eredi Kennedy, i legami con il colosso Google. La stampa - Renzi, in Italia, ha poi trovato la fondamentale sponda di Marco Carrai, finanziere molto vicino al premier in pectore, uomo con particolare confidenza con Stati Uniti e Israele (sarebbe stato proprio Carrai ad introdurre Matteo a mister Phillips, nuovo ambasciatore Usa in Italia). Oltre a Carrai, si registra la vicinanza a Franco Bernabè, lupo della finanza internazionale e, non a caso, subito emerso nella lista dei papabili ministri. Una serie di fattori, dunque, che permettono di inquadrare la scalata di Renzi da prospettive più ampie, non solo italiane. Una serie di fattori con cui rileggere le recenti e generose aperture pro-Matteo dei colossi dell'informazione finanziaria quali Wall Street Journal e Financial Times.

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