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Mortadella al Colle, un salame al governo

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Il buco nero dell'Iri, le sedute spiritiche, le consulenze ai cinesi: il curriculum di Prodi che ha conquistato Beppe ci sarà fatale

Andrea Tempestini
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  di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet Il Movimento Cinque Stelle ha un candidato nuovo per il Quirinale e si chiama Romano Prodi. È un giovanotto di quasi 74 anni e la sua elezione significherebbe un gran passo avanti verso lo svecchiamento del nostro Paese, perché rispetto all'attuale capo dello Stato, che di anni ne ha  quasi 88, con lui sul Colle avremmo un presidente della Repubblica più giovane di 14. Inoltre Prodi rappresenterebbe l'attesa ventata di novità, perché la sua elezione porterebbe una totale innovazione rispetto al passato. Come promesso agli italiani dai penta stellati di Grillo, si tratterebbe di un uomo che in Parlamento non c'è stato mai, perché, pur essendosi fin da ragazzo occupato di politica, ha sempre scelto di frequentare altri Palazzi rispetto  a quello di Montecitorio, dove non ha occupato neppure per un giorno una poltrona, preferendo quelle più comode di Palazzo Chigi. Ciò nonostante il nome scelto a sorpresa dai grillini può vantare un curriculum di tutto rispetto. Essendo il massimo esperto dell'economia della piastrella, il professor Romano già nel 1963 fu eletto nel consiglio comunale di Reggio Emilia nella lista della Democrazia cristiana e alternò l'impegno politico con una serie di incarichi manageriali in aziende decotte delle Partecipazioni statali. L'attività di consigliere della Balena bianca nel comune rosso però non condizionò in alcun modo le sue scelte future. È vero che nel 1978 gli capitò incidentalmente di diventare ministro di un governo Andreotti, cioè del simbolo stesso del malgoverno, ma Prodi è sempre stato estraneo alle lottizzazioni politiche praticate ai tempi della Prima repubblica. Successivamente, dopo aver lasciato la poltrona al dicastero dell'Industria e aver varato una legge che consentiva di salvare le imprese bollite scaricandole sulle spalle della collettività, il super docente fece il gran salto ai vertici dell'Iri, cioè dell'Istituto usato dai politici come discarica di imprese in difficoltà. Lì il professore ha dato il meglio di sé, perché grazie a una dotazione di quasi 18 mila miliardi è riuscito a far credere a quasi tutti di averlo risanato. Lasciando l'incarico annunciò addirittura il ritorno all'utile dell'Istituto, non prima naturalmente di aver scorporato le perdite della siderurgia in un'altra società.  A Prodi non riuscì solo il miracolo di far credere di aver salvato l'Iri, ma anche l'incredibile impresa di guidare l'ente per parecchi anni senza sporcarsi le mani. Quando scoppiò lo scandalo di Tangentopoli e parecchi manager pubblici finirono coinvolti, Antonio Di Pietro lo interrogò senza troppi complimenti e di fronte alle sue ingenue risposte sbottò: non capisco se lei vuole passare per fesso oppure è un fesso vero. Sta di fatto che Prodi se la cavò senza macchia e solo con un po' di paura, ma di lì a un paio di anni si tolse la soddisfazione di nominare Di Pietro suo ministro. Già, perché nel curriculum del nostro professore c'è anche un passato da presidente del Consiglio. Come stavolta, con la candidatura sul Colle, non fu lui a brigare per diventarlo, ma gli altri per lui. L'idea bizantina venne a Massimo D'Alema su suggerimento di Beniamino Andreatta, il più furbo dei dinosauri dc. Non essendo i comunisti molto amati dagli elettori serviva una testa di legno per far credere agli italiani che votando a sinistra avrebbero votato un moderato. Il professore funzionò a meraviglia e in molti caddero nel tranello, ma una volta vinte le elezioni e stangato i contribuenti con la scusa dell'Euro, gli ex pci lo rimandarono a Scandiano, suo paese d'origine. Fu un licenziamento un po' brusco, che successivamente fu ricompensato con un posto alla guida della Ue, ma  essendo un tipo vendicativo, nel 2006 Prodi riprovò a fare la foglia di fico dei compagni. Una sfida che rivinse, riperdendo poi però la poltrona, a dimostrazione che i comunisti più di due anni non lo sopportano. Già quanto abbiamo raccontato prova che il professore è un mago, ma se  non bastasse nel suo passato c'è anche una buona esperienza con gli spiriti. Nel 1978, in pieno sequestro Moro, mentre tutto il Paese era con il fiato sospeso per le sorti del presidente dc rapito dalle Br, lui ammazzava le domeniche parlando con l'aldilà. Intorno al tavolo muoveva un piattino alla ricerca del covo in cui i terroristi tenevano segregato l'onorevole. Dall'oltretomba arrivò l'indicazione giusta, ma Prodi e gli inquirenti non si capirono e invece che in via Gradoli le ricerche furono indirizzate in una località con lo stesso nome, ma lontana da Roma. Il professore insomma ce la mise tutta per liberare Moro, ma se neppure gli spiriti riuscirono a salvarlo non fu colpa sua. Di recente, alla sua lunga esperienza di frequentatore di politici e spiriti, Prodi ha aggiunto anche le consulenze per la Repubblica popolare cinese e per una meno popolare dittatura dell'est europeo. La cosa pare che abbia fatto sussultare i giornalisti di un settimanale tedesco della sinistra chic, ma lui non ha fatto un plissé, un po' come ai tempi di Di Pietro. Di fronte alle domande più scomode e ai quesiti più imbarazzanti  la sua tecnica consiste nel sorridere e bofonchiare. In fondo, lui non è mica un onorevole tenuto a rispondere al popolo. Uno così al Quirinale sarebbe l'uomo giusto al posto giusto. Lui sul Colle e Grillo al governo sarebbero perfetti. Altro che decrescita felice, insieme ci darebbero la dolce morte.  

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