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Jihad, la classifica dell'orrore: quante persone muoiono al giorno e in quali Paesi si ammazza di più

Andrea Tempestini
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Una angosciante classifica dell'orrore stilata dal Centro internazionale per lo studio dell'estermismo e della violenza politica (Icsr) di Londra. Al centro delle ricerca la jihad globale e i gruppi del terrorismo islamico. Per prima, una cifra: 5.042 morti soltanto a novembre, questo il bilancio di sangue di tagliagole e affini, per una media di 168 morti al giorno. Vittime che sono la conseguenza di 664 attentati, agguati, decapitazioni, esplosioni e altri atti di violenza. Nel dettaglio, la jihad globale uccide in 24 nazioni, ma l'80% delle vittime si registra in 14 Paesi, ed è l'Iraq in cima alla classifica dei morti, seguito dalla Nigeria dove spopola Boko Haram e dall'Afghanistan dove stanno risorgendo i talebani. In quarta "piazza", la Siria ancora sconvolta dalla guerriglia civile. Obiettivi locali - Per dare un'idea della strage, basti pensare, come ricorda La Stampa, che novembre è stato un mese durante il quale i gruppi jihadisti hanno messo a segno l'equivalente di tre attacchi della metro di Londra nel 2005. La gran parte delle vittime è musulmana. A prevalere sono operazioni anche di pulizia etnica il cui obiettivo è il controllo del territorio: imboscate, sparatorie e bombardamenti. Già, perché oggi le priorità dei leader della jihad sono differenti da quelle dell'Osama bin Laden del 2001: il sedicente Califfo Abu Bakr al Baghdadi, infatti, vuole consolidare ed estendere il fantomatico Stato islamico. Poi c'è Al Nusra, che mira al controllo di aree in Siria, e quindi Boko Haram, che vuole spazzare via i cristiani dalla Nigeria. Anche i talebani afghani mirano al controllo di Kabul: la strategia dei tagliagole, dunque, si concentra su obiettivi locali, mira a controllare città, territori e villaggi, e soprattutto ad eliminare gli "infedeli" secondo i dettami della Sharia, la legge islamica. Jihadisti che muoiono - Ci sono poi i dati sui caduti tra i miliziani della jihad, dati che riservano una piccola sorpresa: il maggior numero di caduti, infatti, non si registra tra le file dell'Isis, nel mirino della coalizione internazionale, ma tra i nigeriani di Boko Haram, che subiscono il 60% delle perdite (su un totale di circa 1.000 vittime; i caduti dell'Isis arrivano al 44%). Questi dati suggeriscono come i direttissimi eredi di Bin Laden, lo Stato Islamico e la nuova Al Qaeda, abbiano imparato come "mettersi in salvo", ossia hanno affinato le loro strategie militari. Una considerazione, quest'ultima che porta gli autori del rapporto a suggerire come, oggi, droni e attacchi aerei non bastino più: servono truppe di terra per riconquistare le aree prese dai tagliagole, aree che, sinistramente, assomigliano sempre più a uno Stato.

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