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Libia, le tribù vicine al generale Haftar: jihad contro l'Italia, stop al colonialismo di Matteo Salvini

Davide Locano
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Il ritorno in forze dell'Italia nel grande gioco libico, certificato oltre che dall'attivismo di Matteo Salvini, anche dalla visita a sorpresa a Tripoli di sabato scorso del titolare della Farnesina Enzo Moavero, sarà tutt'altro che una passeggiata. A testimoniarlo è il proclama lanciato da una tribù della Cirenaica, fedele al generale Khalifa Haftar, che si è detta pronta «al jihad insieme ad altre tribù contro lo Stato coloniale e fascista italiano». La dichiarazione è stata fatta dai capi della tribù Jawazi sulla televisione libica, di proprietà proprio del generale Haftar, Libya Al-Hadat. I leader tribali hanno fatto riferimento a Omar Mukhtar, il famoso capo della resistenza anti italiana in Cirenaica degli anni Venti, definendosi «suoi figli e pronti alla guerra santa». Leggi anche: Libia, altro trionfo di Salvini: come respingiamo i barconi In particolare gli Jawazi accusano l'Italia di voler costruire una «base coloniale» nel sud della Libia e affermano di volerlo impedire ad ogni costo. Il riferimento è alla volontà italiana, a quanto pare espressa nel recente incontro di Salvini con il vicepremier libico Ahmed Maitig a Roma, di riprendere un progetto elaborato nel 2009, che vede il coinvolgimento dell'Ue attraverso l'Italia, volto a proteggere i confini meridionali della Libia, troppo estesi e permeabili per contrastare i traffici di esseri umani e che dovrebbe avere il suo centro nella città di Ghat, al confine con l'Algeria. Si tratta di un progetto imponente, dal costo di 380 milioni e che il nostro governo vorrebbe avviare immediatamente, inviando una squadra di tecnici sul posto per le verifiche preliminari. Secondo osservatori locali, sarebbe stato lo stesso Haftar ad aizzare le tribù per alzare la posta di una sua eventuale interlocuzione con la nostra diplomazia, che continua a sostenere il governo di Al Serraj, riconosciuto a livello internazionale, ma incapace di tenere testa alle milizie del signore della guerra Haftar. D'altra parte è nota l'amicizia di Haftar con la Francia, che non smette di interferire nello scenario libico, come dimostra la conferenza organizzata a Parigi, di fatto fallita, in cui Macron ha tentato di mettere attorno a un tavolo tutte le fazioni libiche, mentre l'Italia era alle prese con le trattative per la formazione del governo. Peraltro le ingerenze straniere nell'intricato mosaico libico non mancano: a parte l'amicizia che Serraj può vantare, attraverso la fratellanza musulmana, con Turchia e Qatar, lo stesso Haftar è sostenuto da Egitto, Sauditi ed Emirati Arabi (nonché Russia), i quali già dispongono di una loro base nella Libia orientale. Obiettivo di Haftar è mettere le mani sull'esercito, sulla Noc e sulla Banca centrale libica. Nel frattempo il debole governo Serraj si è affrettato a smentire l'avvio dei lavori a Gath. Per l'Italia la soluzione del rebus libico è complicata: non è detto però che non si possa trovare negli Usa un partner affidabile e risolutivo. Dell'attivismo francese in Libia Washington sembra stufa, come dimostra il veto posto all'acquisizione da parte di Total della quota di controllo del giacimento di Waha, pagata appena 450 milioni di dollari, a fronte di un valore pari a un miliardo e mezzo. di Alessandro Sansoni

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