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Facci: La crisi, la crisi

Filippo Facci visto dal nostro Vasinca

Puntuali, come ogni estate, le voci di una caduta di governo. All'estero (e non solo) i giornali ignorano gli allarmi. Perché ci conoscono.

Giulio Bucchi
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Le ombre di una crisi di governo stavolta appaiono nere e minacciose, è vero: ma se questa crisi imminente non trova spazio sulla stampa internazionale (ne trova poco anche sulla nostra stampa locale, aggiungerei) una ragione ci sarà pure. Forse è questa: all'estero ci hanno preso le misure, da molto tempo ci siamo giocati anche la credibilità mediatica. Sui giornali stranieri, se si legge che un governo rischia la crisi, quasi sempre poi arriva la crisi: se non arriva è solo in casi eccezionali, e comunque era il caso di occuparsene, di fare un articolo, insomma c'era la notizia. Ma gli stessi giornali stranieri, guardando all'Italia, non badano mai alle titolazioni dei nostri quotidiani quando scrivono di «crisi imminente», come hanno fatto quasi tutti i giorni per tutta l'estate: il classico «al lupo al lupo» che giustifica, oggi, ogni alzata di spalle. I giornali stranieri - mi spiegava un amico che li legge tutti, ma per davvero - hanno preferito scrivere della condanna di Berlusconi ma poi entrare in modalità «chiamateci quando avete finito». E infatti la semplice verità è solo questa: non abbiamo ancora finito. È la ragione per cui meriterebbe un monumento quel titolista ignoto che su un quotidiano locale abruzzese, nel tardo agosto scorso, aveva aperto la prima pagina così: «Solite minacce di crisi». Sottotitolo, nostro: chiamateci quando avete finito. di Filippo Facci

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